A volte risulta estremamente semplice creare empatia con il protagonista di un film e per quanto possa rivedermi nei tratti caratteriali di Stefano, giovanissimo psicoterapeuta dai modi pacati e cordiali, in realtà nostro minimo comune multiplo (considerando le nostre vite due fattori numerici) è l'acquisto di una poltrona. Ho comprato una nuova poltrona e come è accaduto a Stefano l'idea di testarla non mi ha fatto prendere sonno per giorni, finché finalmente si è presentata l'occasione giusta, non un singolo paziente da ascoltare, ma le sfaccettate problematiche, i casi e gli intrighi psicologici che in Trasfert, thriller psicologico del regista catanese Massimiliano Russo, si susseguono a suon di colpi di scena.
L'attesa per la grande notte degli Oscar si fa sempre più frenetica, i cinefili di tutto il mondo si stanno organizzando recuperando e visionando il maggior numero di pellicole candidate ai premi più prestigiosi. Tra un titolo e l'altro, però, ad attirare la mia attenzione è una produzione italiana alquanto audace, presentata al Roma Web Festival lo scorso Novembre e di prossima uscita nelle sale. Sto parlando di Trasfert, titolo che perfettamente ha risposto alla mia esigenza principale: saturo dalle grandi produzioni americane o mediometraggi a puntate che spuntano come funghi su piattaforme streaming, soprattutto in un periodo intenso come questo durante la stagione dei premi cinematografici, avevo proprio bisogno di una alternativa, ovvero un buon thriller psicologico sotto il profilo tecnico e narrativo.
Le tredici nominations e i ben otto premi vinti agli Oniros Film Awards tra cui quello di miglior film, miglior debutto alla regia e miglior attore protagonista, le candidature e i premi ai Gold Movie Awards e al Barcellona Planet Film Festival mi avevano incuriosito e non poco. Una curiosità diventata in seguito aspettativa dopo aver letto le numerose critiche positive sul web, nonché dopo aver appreso la notizia dei dieci minuti di applausi dopo la prima proiezione assoluta a Roma. Una aspettativa che per tre quarti di film, durante la visione, non riuscivo a soddisfare forse a causa del ritmo lento, del senso di inquietudine quasi soffocante dovuto dalla colonna sonora oppure dai netti tagli di montaggio che creano una confusione studiata, voluta e ponderata nella mente dello spettatore che come il protagonista dovrà far luce nelle buie vite dei suoi pazienti. Una confusione che si dissolve nel finale, in cui ho rivisto Shutter Island del grande Martin Scorsese, in cui finalmente ho stropicciato gli occhi e incredulo ho considerato che dopotutto i paragoni fatti non sono molto esagerati, i premi e i riconoscimenti finora incassati come gli applausi a Roma meritati.
Transfert è un film che consiglio di vedere armati di molta pazienza e concentrazione, la stessa che possiede un psicoterapeuta che si rispetti, per superare il ritmo lento e farsi scivolare addosso la trama senza farsi distrarre dai pensieri perché il finale è risolutorio e la sceneggiatura, vero punto di forza, un faro sulle coste buie della mente umana. Transfert è un gioco di specchi, ogni persona riflette su gli altri i propri problemi, un concetto semplice, ma articolato alla perfezione da una sceneggiatura ben scritta e ben messa in scena. Il film sarà prossimamente nelle sale, se vi capiterà di passare davanti ad un cinema vogliosi di una valida alternativa in termini di intrattenimento cinematografico saprete quale titolo scegliere, altrimenti fate un salto su i miei profili social, vi mostrerò la poltrona che ho acquistato.
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