Il compito principale di un regista è quello di mettere in scena un'idea, raccontare con le immagini una storia, tracciare linee guida per lo spettatore senza la pretesa o l'arroganza che egli le segua realmente perché lo spettatore al cinema è padrone del proprio destino interpretativo e nel film che sceglie di vedere è autorizzato a vederci quel che desidera, a causa di esperienze passate o altre mille ragioni ha il diritto di interpretare le idee e le storie proposte da un punto di vista differente, ovvero ha il diritto di libera interpretazione. Se poi il regista in questione è Wes Anderson allora le interpretazioni a disposizione dello spettatore si moltiplicano, quindi non biasimatemi se io vedendo al cinema L'isola dei cani ho captato differenti interpretazioni oltre alla più immediata e ampiamente discussa metafora politica.
La storia è ambientata in Giappone, ma come ha riportato lo stesso regista in una recente intervista, la scelta del luogo è legata solo alla sua passione per il cinema giapponese e il loro modo di raccontare il futuro distopico, quindi senza nessun riferimento a particolari fatti storici realmente accaduti, anche se la storia è perfettamente resa credibile dal prologo che inizialmente ho persino creduto fosse un antico racconto popolare giapponese. L'isola dei cani è stato scritto a tre mani, al processo creativo hanno quindi lavorato tre teste ognuna delle quali ha pensato idee differenti, idee che si sono scontrate fino a raggiungere un compromesso, ovvero che il film è realizzabile se queste idee vengono messe insieme: cani protagonisti, evidenziare il problema dell'eccessivo e mal smistamento della spazzatura tale da far ricoprire un'intera isola, un futuro apocalittico e il Giappone. Visto che nel film i giapponesi non fanno proprio una bella figura, mi viene da pensare che per fortuna non hanno deciso di ambientare la storia in Cina.
Con Wes Anderson non esistono le mezze misure, lo ami oppure lo odi, ti coinvolge oppure non ti prende per nulla, mezze misure che non esistono nemmeno nel suo stile eccentrico ed esagerato che si riflette nell'eterno confronto tra forma e contenuto dei suoi film perché Anderson è un regista stilisticamente riconoscibile ma allo stesso tempo inclassificabile nel genere, poiché non è chiaro se L'isola dei cani rispetti il manuale del film d'animazione, commedia, fantasia oppure avventura; così inclassificabile anche nel target di pubblico poiché il film in questione ha come protagonista un bambino oltre che gli animali domestici per eccellenza, i migliori amici dell'uomo, eppure non mi sbilancio dicendo che è un film solo per bambini che conserva uno sguardo infantile sul rapporto e il rispetto ambientale.
L'isola dei cani è il secondo film che il regista americano realizza con la tecnica stop motion dopo Fantastic Mr. Fox, una tecnica di animazione che io personalmente adoro perché come lo stesso regista afferma sembra un trucco di magia, un processo lavorativo lungo e complicato che non smetterei mai di premiare con l'acquisto del biglietto al cinema. Anche se quest'ultimo lavoro è realizzato in stop motion conserva tutti i tratti stilistici peculiari di Wes Anderson: bidimensionalità, simmetria e perfetta geometria nelle inquadrature frontali a telecamera ferma, ritmo scandito e tempi morti misurati al millimetro, cura maniacale dei dettagli (le mie scene preferite nel L'isola dei cani sono infatti quelle curate nei minimi come quella della preparazione del Sushi oppure della rappresentazione teatrale realizzata per commemorare il ragazzo protagonista), oltre che la recitazione credibilissima anche su protagonisti a quattro zampe e l'ironia perché si ride senza sapere il motivo oppure è facile rimanere con il sorriso stampato in faccia incantati dall'apparato visivo in quest'ultimo lavoro quantomai sofisticato.
Se lo stile di Anderson non cambia negli anni, diverso è il modo di approcciarsi ai suoi film, almeno questo è avvenuto da parte mia che oltre alla metafora politica nel L'isola dei cani ha ricavato differenti interpretazioni. In Giappone in un ipotetico e prossimo futuro un'epidemia di influenza canina spinge il governo a confinare tutti i cani sull'isola adibita a discarica, nonostante una squadra medica sostenga di avere un antidoto. Dopo qualche anno sull'isola dei cani atterra con un piccolo aereo un bambino in cerca del suo animale domestico, ad aiutarlo nella ricerca si impegnano cinque cani mentre dall'altra parte del mare si sta mettendo a punto un piano per bombardare e sterminare l'isola. Wes Anderson sembra quasi voler mostrare le conseguenze del panico e l'isteria di massa come movente politico, la disinformazione dovuta anche dal controllo dei mezzi di comunicazione genera paura, la paura offusca la ragione e porta a negare l'evidenza su argomenti quali i vaccini (prevenire l'influenza canina è meglio che curarla) o il riscaldamento globale (il riferimento all'eccessiva spazzatura non è casuale), il potere esercitato nei confronti delle minoranze non votanti e a proposito di elezioni, ho immaginato gli amanti dei cani e gli amanti dei gatti come due partiti politici dalle ideologie opposte e vista l'attuale situazione di governo nel nostro paese ho potuto vedere quanto l'operato dei partiti non consista in nulla di propositivo ma in un operato distruttivo poiché concentrato nel discreditare e mettere in cattiva luce il partito rivale. Ma perché proprio i cani? Wes Anderson ha un cane di nome Chief, come il randagio del film e anche gli altri autori godono della compagnia di un cane, cosi la scelta è ricaduta su questo animale domestico, nel film ci sono anche gatti ma le loro personalità non vengono approfondite e i loro padroni vengono percepiti come i villain della storia, sempre immaginando i due schieramenti come due partiti politici mi piace quando nel finale al potere salgono i padroni dei cani, scusate lo spoiler ma sottolineare la critica al sistema governativo è importante perché se per tutta la durata del film vengono percepiti per giusti e corretti appena eletti al comando del paese agiscono esattamente come i loro predecessori.
Altra nota positiva che rende credibile e giustificabile l'impiego di doppiatori d'eccezione, nomi come Bryan Cranston, Edward Norton, Bill Murray, Jeff Goldblum, Frances McDormand o Scarlett Johansson è la distinzione di linguaggi, ovvero i cani e gli umani parlano lingue differenti, parlano le loro lingue originali, i giapponesi parlano il giapponese e non sempre e sottotitolato in italiano o tradotto, scelta voluta, rischiosa, ma forzata per esigenze di credibilità. Ma perché proprio i cani? Wes Anderson ha un cane di nome Chief e anche gli altri autori godono della compagnia di un cane, ma gli animali protagonisti potevano essere benissimo dei criceti o qualsiasi altro animale domestico così almeno ho pensato all'inizio del film perché credo che Anderson con L'isola dei cani ha voluto anche esprimere una critica al concetto stesso di animale domestico. E' giusto che gli animali domestici vivano in un ambiente appunto domestico, al servizio degli esseri umani, oppure essendo animali è nella loro indole vivere liberi, senza padroni, una vita selvaggia? Perché un cane deve indossare la maglia di una squadra di baseball, saper camminare a due zampe con una palla da bowling sul muso, riportare un oggetto lanciato lontano oppure fare da guardia al padroncino? La risposta è abbastanza semplice e banale, Chief l'unico cane randagio sull'isola lo apprende insieme allo spettatore durante la sua avventura, ho capito che il criceto non avrebbe sopportato la responsabilità che Anderson affida ai cani: il cane è il miglior rappresentante del sentimento della gratitudine. Magari inseguire un osso lanciato lontano e riportarlo indietro è di gradimento per un cane, ma se nei suoi confronti porti rispetto e amore incondizionato il cane potrà fare qualsiasi cosa gli si venga chiesto o insegnato, trattalo bene e non ti sarà solo fedele, ti sarà per sempre grato.
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