"Who wants to live forever?". Lo so, è banale iniziare la recensione di Bohemian Rhapsody, film biografico sul celebre gruppo rock dei Queen, citando il titolo di uno dei brani più famosi della band britannica, ma d'altronde come una delle battute del film suggerisce, al pubblico è concessa libera interpretazione ed io voglio partire proprio dall'ultimo brano in scaletta nella pellicola di Bryan Singer (seppur non contestualizzato all'interno della trama poiché inserito come sottofondo ai titoli di coda) per dare una interpretazione all'intero film, capire i punti di forza e i punti di debolezza, cosa ha davvero funzionato e cosa invece no in uno dei film più attesi dell'anno, già record di incassi al Box Office, ma che più di ogni altro titolo ha diviso in due la critica.
Chi vorrebbe vivere per sempre? Io di certo no e forse, da quello che si evince dal film, dallo stile di vita condotto, neanche Freddie Mercury lo avrebbe voluto, ma chissà quanto a suo malgrado, il frontman dei Queen diventando una leggenda della musica continuerà a vivere per sempre e anche senza fatica attraverso le documentazioni storiche, le sue opere o film come Bohemian Rhapsody soprattutto se ad interessarsi sono le nuove generazioni, giovani circondati oggi da musica sperimentale tanto quanto quella proposta all'alba degli anni '70 dai Queen proprio con il brano Bohemian Rhapsody definito all'epoca all'avanguardia. Ma gusti musicali a parte, discutibile resta il modo con il quale si vuole far vivere per sempre la rock band e il suo leader poiché il biopic realizzato, come già detto, divide in due la critica e fa discutere per le imprecisioni, le omissioni e le piccole invenzioni commesse riguardo la vita vera e personale di Freddie Mercury, le attività del gruppo musicale e infine per via di inesattezze storiche inserite nella trama a favore di esigenze cinematografiche e di spettacolarizzazione.
La prima importante considerazione da fare è che tra i produttori esecutivi del progetto ci sono i veri Brian May e Roger Taylor, il chitarrista e il batterista fondatori con Mercury dei Queen, due figure ingombranti che a dispetto di quanto si è detto nelle interviste fatte in post-produzione, credo abbiano fatto particolari pressioni per far uscire un film pulito, ovvero un film che possa in qualche modo esaltare e omaggiare la band e in primis il loro collega e amico scomparso. A dimostrare la tesi è il lungo travaglio subito dal film in fase di lavorazione, nel quale diverse controversie con i produttori hanno portato poche settimane prima della fine delle riprese al licenziamento del regista accreditato Bryan Singer, sostituito da Dexter Fletcher o il cambio di interprete nel ruolo di Freddie Mercury che inizialmente, prima di una furiosa litigata con May, era affidato a Sacha Baron Cohen (insomma abbiamo perso l'opportunità di vedere Mercury con i baffi in stile Borat).
La seconda considerazione riguarda la scelta del titolo: "Bohemian Rhapsody" e non "Queen" o sottotitoli e altri riferimenti vari perché il film si concentra sui primi quindici anni della band, racconta la band, la sua nascita, ma non racconta nulla dei suoi componenti che risultano senza passato e futuro, poca curata è la loro caratterizzazione, ma soprattutto pone come climax emotivo l'esibizione al Live Aid del 1985 e stravolge eventi e fatti reali solo per una maggiore preparazione emotiva dello spettatore in vista del grande finale. Ruotano tutte intorno all'evento finale le inesattezze narrative che cambiano la natura della partecipazione della band al Live Aid di Wembley: come la tensione e il conflitto tra i membri della band generato dalla volontà di Freddie Mercury di prendere una pausa e realizzare un album da solista convinto dal suo manager Paul Prenter, un pretesto non sussistente visto che nella realtà anche Roger Taylor aveva già inciso due album da solista nel 1981 e nel 1984 e la certezza che il gruppo non si è mai ufficialmente sciolto, licenza poetica del film non di poco conto inoltre riguarda anche il licenziamento del manager Prenter per non aver comunicato a Mercury l'invito di partecipazione al Live Aid e la sua macchinazione per far fuori dallo staff della band l'altro manager John Reid, questi veri escamotage da film drammatico.
Solo al personaggio di Freddie Mercury inevitabilmente viene concesso spazio, le sue origini vengono solo menzionate e non mostrate poiché la trama parte dal 1970. Anche gli ultimi anni di vita non vengono mostrati così come i riferimenti all'uso di droghe o alcolici durante le grandi feste organizzate in casa. Bohemian Rhapsody è anche il brano più importante della carriera dei Queen, chiave di svolta, innovativo e sperimentale portò davvero una ventata di rivoluzione nel panorama musicale, ma non solo perché durante la preparazione e la lavorazione dell'album contenente il brano Bohemian Rhapsody da proporre alle etichette discografiche, complice diversi fattori si smuove qualcosa in Freddie Mercury e nel rapporto con la sua sessualità. Il film presenta altre inessatezze riguardanti la vita privata e sentimentale di Freddie Mercury nonché la diagnosi della fatale malattia: nel film Mercury dichiara la propria omosessualità alla sua famiglia il giorno stesso del concerto presentando ai suoi genitori il compagno Jim Hutton e svela ai colleghi e amici di aver contratto l'Aids solo una settimana prima del concerto durante le prove generali, ma nella realtà a tutti gli effetti il coming out risulta essere fittizio perché Mercury non si è mai pronunciato sulla sua omosessualità e Hutton per la famiglia era ufficialmente il giardiniere, invece la diagnosi della malattia avviene ben due anni dopo il concerto e la scoperta di essere sieropositivo, per molti, risulta essere strumentalizzata per la diffusione dei soliti stereotipi legati all'Aids.
Bohemian Rhapsody l'ho visto al cinema prima di entrare in possesso di tutte queste informazioni che mi hanno portato alla conclusione che la rielaborazione narrativa degli eventi, adoperata quindi allo scopo di valorizzazione della band e omaggio alla memoria del Frontman Freddie Mercury così come di preparazione emotiva al grande finale è tutta rimessa alla valutazione soggettiva dello spettatore. Ho storto un po' il naso appena appreso le inesattezze nella trama, ma poi ho pensato quanto sia difficile realizzare un film biografico perfettamente fedele alla realtà dei fatti e considerando quanto queste siano minime, ho fatto fede alle sensazioni provate in sala: la commozione sfiorata nel finale e l'imbarazzo provato nel nascondere le lacrime in pubblico per considerare il prodotto cinematografico montato e proposto al pubblico come un buon risultato, un film emozionante e coinvolgente grazie inevitabilmente alle musiche che compongono la colonna sonora (già sparate dai primi secondi e che coinvolgono pure il jingle della 20th Century Fox), il cast assolutamente credibile e un Rami Malek in formato da Oscar. L'attore americano di origine egiziana che ha raggiunto la fama grazie al ruolo da protagonista nella serie televisiva Mr. Robot esegue una interpretazione straordinaria perché riesce a capire il personaggio, studiando movenze, comportamenti, accento e modo di esprimersi, scava nel profondo e riesce a mostrare un aspetto inedito di Freddie Mercury, non solo quello trascinante e irriverente che tutti hanno imparato a conoscere, ma uno più intimo e umano ricostruito dalle descrizioni di chi lo ha frequentato in privato. Nella prima parte del film senza l'iconico baffetto si fatica a riconoscerlo, ovvero Malek sembra poco credibile, ma in seguito davvero non si riesce più a distinguere dove finisce l'attore e inizia il personaggio. A impressionare non sono le sequenze legate al rapporto di Mercury con la sua sessualità o la fatale malattia (seppur durante la visione ignoravo le inesattezze) ma quelle che mostrano il rapporto con suo padre, con la sua compagna Mary Austin e complice il lavoro di Rami Malek i tratti di un Freddie Mercury straniero in un mondo nuovo e allo stesso tempo familiare, un individuo alla costante ricerca di un'identità, un uomo ricco, ma che finisce per essere schiacciato da una delle sensazioni più umane: la solitudine.
Chissà quante volte ho visto il video dell'esibizione dei Queen al Live Aid su Youtube, solo per puro piacere musicale e poi attraverso il film, cronologicamente inesatte o meno, scopro le motivazioni e i retroscena dietro quella intensa performance di Freddie Mercury quasi un saluto al pubblico in una delle ultime apparizioni pubbliche prima della morte. Chissà quante volte ho sognato di essere in quella folla urlante e poi grazie a Bohemian Rhapsody per qualche minuto sono stato a Wembley ed era il 1985... beh ho esaudito il mio sogno!
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