Sulla Terra ogni mattina quando sorge il sole una città commerciale si sveglia, sa che dovrà correre più di una città predatrice o verrà in essa inglobata. Sulla Terra ogni mattina quando sorge il sole una città predatrice si sveglia, sa che dovrà correre più di una città commerciale o resterà senza risorse e materie prime. Sulla Terra ogni mattina non è importante che tu sia una piccola città commerciale o una grande città predatrice, l'importante è che cominci a correre. Chissà se lo scrittore britannico Philip Reeve conosca il trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo o la loro famosa scena del leone e la gazzella, di certo a primo impatto, approcciandomi alla storia del suo romanzo in modo del tutto ironico e superficiale, mi è subito venuta in mente la semi-citazione alla simpatica scena del film Così è la vita.
Ma battute a parte, basta solo una profonda analisi lunga quanto il prologo del film per apprendere che a colpire in Macchine mortali è proprio la genialità della metafora economico-politica delle città predatrici, il concetto di darwinismo urbano e la cruda verità secondo la quale il più potente diventa sempre più potente. Durante la visione del film ho pensato allo Spread, una parola inglese che molto spesso sentiamo al telegiornale e in ambito economico-finanziario è usata per indicare la differenza di rendimento tra due titoli di Stato. Ho paragonato e applicato tale differenziale alle dimensioni che le diverse città assumono nel mondo fantasy di Macchine mortali, giustificando il ruolo e lo status di potenza economica che in tale realtà Londra acquista poiché la capitale inglese è a tutti gli effetti la protagonista della pellicola e visto che i nomi di altri agglomerati urbani sembrano essere inventati. Una potenza diventa sempre più potente quando, tra altre svariate ragioni, restaura la sua organizzazione strutturale, genera nuove opportunità di lavoro oppure esplora nuovi mercati o si assicura efficienti e privilegiate rotte commerciali, la storia ci insegna quanto questi scenari subiscano una manifestazione a cadenza ciclica, Philip Reeve gli ridisegna in un contesto futuristico postapocalittico ambientato tra 2000 anni, un mondo nel quale le città si possono spostare su cingoli e la tecnologia paradossalmente è analogica, quasi un passo indietro per il progresso poiché la tecnologia come oggi la conosciamo è ormai antica e smartphone o altri sofisticati aggeggi di ultima generazione sono considerati pezzi da museo, ma chissà quanto un passo avanti culturale poiché i Minions sono venerate divinità. Chi detta e fa imporre le proprie regole in qualche modo è un predatore, chi a queste si adegua invece in qualche modo è come se fosse inglobato in tale sistema e le spettacolari immagini del film mettono in scena questa metafora.
Altro interessante concetto sviluppato è il cosiddetto darwinismo urbano, ovvero l'applicazione delle teorie elaborate da Charles Darwin sull'evoluzione della specie dovuta alla lotta per la sopravvivenza. Così come per gli esseri viventi anche le città si adattano per sopravvivere, mutano la loro forma in giganteschi organismi meccanici che si muovono su cingoli in cerca di risorse, energia, materie prime finché la selezione naturale no fa il suo corso. Le città non sono più statiche e confinate, ma anche oggigiorno nella realtà gli Stati si muovono, non fisicamente, ma grazie ai nuovi mezzi di comunicazione e di connessione possono esercitare la loro sovranità attraverso organismi transnazionali ed espandere le proprie dimensioni oltre i propri confini all'interno di un mercato mondiale, semplicemente si definisce: globalizzazione.
Guidata da Thaddeus Valentine, archeologo e capo degli storici che hanno il compito di studiare e conservare le vecchie tecnologie, e dal sindaco Magnus Crome, Londra attraversa il grande ponte e per cercare nuove risorse e materie prime, affermare la propria egemonia economico-politica sul vecchio continente, nonché affacciarsi sui mercati orientali paradossalmente in barba alla Brexit lo fa letteralmente entrando in Europa.
Ad ostacolare Thaddeus Valentine (Hugo Weaving) e il suo piano di conquista ci pensano Tom Natsworthy (Robert Sheeham), apprendista storico e Hester Shaw (Hera Hilmar) che intenzionata per motivi personali ad uccidere il capo degli storici, si ritrova con Tom ad instaurare una riluttante alleanza poiché entrambi, con un passato abbastanza simile alle spalle, vengono espulsi da Londra ed abbandonati all'esilio sui territori esterni. Almeno questo è quello che ho potuto comprendere della trama poiché a suscitare perplessità è proprio l'elevata mole di informazioni da assimilare per lo spettatore e i personaggi da inquadrare in un mix confusionario di sottotrame, intrecci narrativi, flashback e personaggi secondari evitabilissimi, per non parlare di interi popoli senza passato ne futuro, personalmente avrei preferito un esaustivo prologo narrato ricco di immagini e mappe in stile Il signore degli anelli, giusto per citare un titolo a caso tra i precedenti capolavori di Peter Jackson. Macchine mortali è tratto dal primo di una serie di romanzi per ragazzi scritti da Philip Reeve, una saga steampunk postapocalittica composta da sette libri (tra i quali solo due tradotti in italiano) e un romanzo breve, insomma stanno alle parole del regista neozelandese che confermano il suo disinteresse alla creazione di una nuova saga cinematografica e le difficoltà nella realizzazione di un progetto molto ambizioso e dalle dimensioni gigantesche sembra proprio che il problema si possa riassumere nella ostinata concentrazione in un unico film di troppe informazioni prese anche da diverse fonti, ovvero da più capitoli scritti su carta, che tendono a creare confusione tra gli spettatori a fine visione ormai distratti solo dalla perfetta e credibile messa in scena. Un grande impatto visivo, una colonna sonora coinvolgente, scenografie mastodontiche e cambi di scena rapidi permettono una scorrevole visione, grazie al buon ritmo e le scene action davvero in sala non ci si annoia. Ma se sotto il profilo tecnico il film è impeccabile, un po' meno è nella comprensione della sua identità, ovvero se i romanzi scritti da Philip Reeve sono un prodotto per ragazzi, il film Macchine mortali non si presenta come tale, ovvero magari complice pure le solite strategie pubblicitarie e di marketinkg sviluppate per il lancio del film e nonostante il linguaggio e la scelta di un cast molto giovane e composto da ragazzi quasi sconosciuti, Macchine mortali non viene facilmente percepito come un film per ragazzi anzi inganna il pubblico target portando in sala persone che si aspettano qualcosa completamente diverso, io e i miei vicini di poltrona possiamo confermare.
Riguardo l'ingente quantità di informazioni, a mio parere, la saga letterale di Reeve si sarebbe sposata meglio con lo sviluppo di una saga cinematografica, infatti per tutta la seconda metà del film ho avuto l'impressione di giungere ad un finale in sospeso in attesa di un sequel, oppure la creazione di una serie tv in cui tra mediometraggi e un paio di stagioni non sarebbe mancato lo spazio narrativo. Macchine mortali forse non era ancora pronto per il lancio nonostante un lavoro di produzione lungo cinque anni in Nuova Zelanda, un lavoro iniziato nel 2008 sotto la guida di Peter Jackson, poi accantonato per la realizzazione di Lo Hobbit e ripreso dallo stesso ultimamente, poco prima della scadenza dei diritti acquisiti nel 2008 sui libri, ma mettendoci lo zampino solo nella sceneggiatura e nella produzione poiché la regia è affidata a Christian Rivers, suo storico collaboratore al suo fianco già ai tempi di Splatters - Gli schizzacervelli.
Macchine mortali è un film per ragazzi consigliato agli amanti del genere, non fan fanatici della saga letterale di Reeve, insomma ragazzi svegli armati di pazienza e massima concentrazione utile per assimilare l'ingente flusso di informazioni mostrate. Sotto il profilo tecnico il film è impeccabile, ma daltronde chi meglio di Peter Jackson poteva mettere in scena un progetto così grande e ambizioso!? Interesante, inoltre, la metafora economico-politica delle città predatrici e il concetto di darwinismo urbano sviluppato, l'ambientazione steampunk postapocalittica di un mondo futuristico a tinte vittoriane, gli effetti speciali, il grande impatto visivo e l'azione non fine a se stessa poiché il sentimentalismo non manca, il film ha una scintilla di umanità ed è sorretto anche da una storia d'amore al quanto significativa perché Hester imparerà che nella vita non è impossibile innamorarsi di qualcuno.
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