Se dopo la "10 years challenge" dovesse spopolare sui social una nuova sfida, ovvero la "80 years challenge", credo che solo il piccolo Dumbo sarebbe capace di vincerla senza nessun minimo sforzo perché, immagini a confronto alla mano, l'elefantino dalle grandi orecchie conserva intatta tutta la sua dolcezza, timidezza e amore verso la propria mamma che traspare dai suoi occhi azzurri disegnati nella versione animata del 1941 così come riprodotti al computer nella versione odierna in live-action di Tim Burton. Ma sarà stato proprio a causa della ricostruzione in CGI del famoso cucciolo di elefante, della libertà creativa più o meno concessa a Burton di sviluppare una storia inedita, piccole incongruenze sparse o le mie personali aspettative riposte verso il rifacimento di uno dei classici Disney più amati, verso uno dei miei registi preferiti, in credito di fiducia poiché ormai lontano dai capolavori di inizio carriera come Edward mani di forbice, Beetlejuice, Batman e Batman - il ritorno, aspettative forse troppo elevate che finiscono per farmi storcere il naso perché, togliamoci via subito il dente, il live-action di Dumbo, l'elefantino dalle grandi orecchie, mi ha abbastanza deluso.
Sarà la mia personale percezione, di chi si considera ancora un po' troppo infantile e allo stesso tempo incapace di guardare il mondo ancora con gli occhi di un bambino, ma il live-action di Dumbo non mi ha eccessivamente coinvolto, non quanto in passato abbia ben fatto Tim Burton, con i titoli in precedenza citati, nonostante sia stato comunque capace di trasportare il pubblico nel magico e colorato mondo circense in uno dei migliori film per famiglie dell'anno.
Ma lasciatemi espletare le mie ragioni: la fredda riproduzione fatta a computer di Dumbo è un filtro che mi impedisce di provare empatia per comprendere i suoi sentimenti, il film di Tim Burton è pieno di citazioni e riferimenti al classico Disney e se prendiamo da esempio una delle scene più emozionanti, ovvero l'abbraccio fatto con la proboscide da parte di mamma Jumbo al piccolo Dumbo, nonostante questa fosse identica, non riesco a provare le stesse emozioni che la scena in versione animata regala, perché l'espressività dei tratti disegnati ed i chiari e brillanti colori non hanno eguale. L'interazione del cucciolo con un attore reale è credibile solo quando viene utilizzato un elemento fisico, ovvero un pupazzo di colore verde da modificare attraverso la tecnica del green screen, altrimenti in molti tratti gli elefanti ricostruiti a computer sembrano palesemente poco reali.
Sorvolando su questi piccoli aspetti grafici l'incongruenza maggiore riguarda la comunicazione tra i personaggi della storia poiché la linea guida è chiara: gli animali al contrario del lungometraggio animato del 1941 non parlano, sono resi così il più possibile reali e credibili, il più possibile animali, eppure Dumbo sembra capire le parole degli umani, sembra rispondere e reagire alle parole con gesti ed azioni, addirittura interagisce con i ragazzini Molly e Joe, con il loro padre Holt Farrier e persino con la trapezista francese Colette Marchant. Questo condiziona in diversi momenti e in diversi modi la narrazione, il film di Tim Burton inevitabilmente non è un remake del classico Disney poiché il lungometraggio del 1941, il più corto della storia con i suoi sessanta minuti circa di durata, non è un vero e proprio film. L'elefantino infatti era stato ideato come testimonial per una collana di libri-giocattolo chiamati "Roll-A-Book", ma il personaggio finisce sulla scrivania di Walt Disney che fiuta il potenziale e decide di ascoltare il suggerimento dei due sceneggiatori Joe Grant e Dick Huemer, ovvero di creare una serie a puntate, così ogni mattina veniva proposto in ufficio da Walt un pezzo della storia finché un giorno affascinato da questi racconti disse: "Fantastico, ma dopo cosa succede?". Dumbo quindi diventa un film d'animazione con una trama non molto complessa e fine a se stessa poiché non era altro che ispirata dai racconti a puntate con unico climax emotivo il volo dell'elefantino dalle grandi orecchie. Dumbo, il quarto classico Disney in ordine cronologico, a causa dei miseri ricavi dei titoli precedenti viene realizzato con un budget molto contenuto, per risparmiare sulla produzione gli sfondi furono dipinti con acquerelli invece dei più costosi colori a olio, ma a fronte dei 813 mila dollari spesi fece registrare incassi per un totale di 2,5 milioni superando ogni box office, il successo del film fu enorme tanto che sarebbe dovuto finire sulla copertina del Times, l'attacco a Pearl Harbour fece saltare tutto, ma questa è un'altra storia.
Un'altra storia è anche quella scritta da Ehren Kruger, sceneggiatore del live-action di Dumbo che rivisita completamente il film originale seppur conservando riferimenti, momenti topici e citazioni che ho amato alla follia durante la visione in sala (mi sono infatti divertito giocando letteralmente a riconoscerle), ma introducendo nuovi personaggi, ovvero personaggi quali esseri umani quindi con sentimenti, caratteri e dinamiche quasi indipendenti seppur sviluppati intorno alla figura del cucciolo di pachiderma. Basti pensare che nel film animato sono proprio gli animali (parlanti) posti al centro del racconto e non gli umani che invece sono in secondo piano. I personaggi umani infatti sono resi visibili solamente nel finale come pubblico entusiasta e sorpreso nel vedere un elefante volare poiché i primi inquadrati, i lavoratori di colore che montano il tendone appena il treno con tutta la compagnia giunge in una nuova località, sono personaggi senza il volto disegnato e i clown prima del citato momento di climax emotivo, in una importante sequenza sono solo ombre disegnate su di un tendone. Sviluppare una storia inedita è un'arma a doppio taglio, ogni spettatore persino il più piccolo sa che l'elefantino prenderà il volo, eppure sono proprio le sequenze in cui Dumbo effetta il suo primo volo che Burton riesce a preparare magicamente, nell'attesa così come nel momento stesso dell'incantato gesto soprattutto grazie alle musiche del maestro Danny Elfman, collaboratore di lungo corso di Tim Burton. Se nell'originale sono le cornacchie a spronare l'elefantino con una loro piuma spacciata per magica poiché per volare Dumbo deve solo credere un po' più in se stesso, nel live-action l'espediente utilizzato è tanto funzionale quanto scontato, per volare il cucciolo deve solo avere più consapevolezza, ma a scoprire la sua incredibile capacità sono i piccoli Molly e Joe Farrier con una piuma utilizzata per avere una prima interazione con l'animale che finisce per farlo starnutire e librare in aria.
L'introduzione di nuovi personaggi umani sviluppa una trama più articolata rispetto all'originale, ma a mio parere senza mordente e quasi inconcludente, ovvero non tutti i personaggi hanno una giusta caratterizzazione e vita narrativa completa, per lunghi tratti al centro del racconto si alternano diversi personaggi e quasi mi chiedo chi sia il vero protagonista tra Dumbo, Holt Farrier e il proprietario del circo Max Medici. Holt Farrier (Colin Farrell) è una ex star del circo, al fianco di sua moglie la sua esibizione con i cavalli era la più attesa dello spettacolo, ma al suo ritorno dalla seconda guerra mondiale ritrova la propria vita sconvolta: perde un braccio, il circo ha venduto i suoi cavalli e sua moglie è deceduta a causa di una letale epidemia. Il proprietario del circo Max Medici (Danny DeVito) lo accoglie e gli chiede di occuparsi di un elefante appena nato con le orecchie dalle dimensioni spropositate diventato lo zimbello di un circo in difficoltà economiche. I figli di Holt scoprono l'incredibile talento di Dumbo che presto diventa l'attrazione più importante del circo Medici, una potenziale macchina da soldi che attira il fiuto per gli affari dell'imprenditore Vandevere (Michael Keaton) e dell'acrobata Colette Marchant (Eva Green), il quale compra tutto il circo, rende Max Medici azionista di minoranza di Dreamland e Dumbo una star, ma non sarà tutto oro quello che luccica. Micheal Keaton è eccezionale, ma il suo personaggio più di tutti è quello che non ha un passato ne futuro, Eva Green è una goduria per gli occhi, bellezza e bravura, leggiadria ed eleganza, ma anche il suo personaggio lascia a desiderare. Discorso diverso vale per Colin Farrell perché il suo personaggio torna al circo dalla guerra quindi fisicamente, psicologicamente ed emotivamente sconvolto, non ha un braccio e non ha ancora metabolizzato di non essere più utile quanto prima ed inoltre quasi non riconosce più i suoi figli perché sono cresciuti dall'ultima volta che gli ha salutati e non sa come approcciarsi a loro, ma l'interpretazione di Farrell onestamente non mi trasmette tutto questo. Tra il piccolo Dumbo e Max Medici invece esiste un parallelismo narrativo, il primo nasce letteralmente in una condizione e situazione completamente opposta a quella in cui termina la sua vita narrativa nel finale del film, il secondo effettua un vero e proprio cerchio narrativo completo, in tema di circo un cerchio infuocato, perché il personaggio interpretato magnificamente da Danny DeVito inizia la propria vita narrativa come capo di un circo e la termina nella stessa situazione, nello stesso status, ma nel frattempo tutto è cambiato: il modo di fare e concepire il circo, il personale, le attrazioni e persino lui è maturato tanto da proporre nel finale un circo senza animali. Il messaggio animalista che traspare nel finale è onorevole e la sequenza che più mi ha entusiasmato è quella degli elefanti rosa che richiama il film originale, una scena coinvolgente tanto quanto spaventosa, ma soprattutto esalta il carattere stilistico di Tim Burton.
Il live-action
Disney Dumbo di
Tim Burton è comunque uno dei migliori film per famiglie dell'anno, garantisce
Disney e con essa la capacità di trattare con immagini temi delicati e sempre attuali come il bullismo, lo sfruttamento, la separazione, la solitudine e il pregiudizio o l'accettare il diverso.
Dumbo è anche un racconto di crescita personale, di rivalsa e di consapevolezza perché l'elemento di diversità non ti rende appunto diverso, ma unico come una creatura che grazie alle grandi orecchie è capace di volare. Perciò dimenticate quanto scritto finora perché le parole che avete letto sono state scritte da un giovane-vecchio ragazzo pignolo, prevenuto e antipatico che si considera ancora un po' troppo infantile e allo stesso tempo incapace di guardare il mondo con gli occhi di un bambino, ma soprattutto che non è un genitore. Quindi portate i vostri figli a vedere
Dumbo e dimenticatevi di quanto scorre sullo schermo perché la reazione e l'espressione che faranno i vostri figli nel momento magico in cui prenderà il volo varrà l'intero prezzo del biglietto.
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