C'era una volta a Hollywood Quentin Jerome Tarantino, una persona creata dal cinema per il cinema; chiamato così in omaggio a Quint Asper, il personaggio di Burt Reynolds nella serie
Gunsmoke, cresciuto a pane e cinema che già da piccolo guardava, in compagnia del padre adottivo, film non adatti ai minori così come l'unico che lo ha fatto spaventare nella sua vita, ovvero Bambi. Un appassionato che a 14 anni scrive la sua prima sceneggiatura, molla il liceo per lavorare prima come usciere in un cinema a luci rosse, il
Pussycat Theathre e in seguito al
Video Archives di Manhattan Beach, un videonoleggio nel quale per cinque anni affina le sue conoscenze sulla storia del cinema e migliora le sue abilità citazioniste.
C'era una volta a Hollywood il massimo esponente del postmodernismo. Citazioni e testi che parlano di altri testi, il cinema di Tarantino è sempre stato considerato innovativo riguardo la costruzione dell'intreccio narrativo, i salti temporali, la molteplicità dei punti di vista sui medesimi episodi, l'ultra violenza resa eccitante e divertente, violenza fisica e verbale, dialoghi folli e caratterizzati da quello che gli americani definiscono
Small Talk, chiacchiere di poco conto come la discussione sul significato di
Like a Vergin di Madonna in apertura di
Le Iene o sul quarto di libra con formaggio di
Pulp Fiction, solo per citare due successi di critica e pubblico agli inizi carriera negli anni '90. C'era una volta il postmoderno che prendeva le distanze dalla storia, dall'idea di verità e c'è oggi Quentin Tarantino, regista maturo e affermato che con lavori come
Bastardi senza gloria e
Django Unchained asseconda la richiesta di una schiera di critici e cinefili che lo vorrebbero un regista "serio", ovvero che si lasci ispirare dalla storia, da fatti realmente accaduti. Così dallo Shoah alla schiavitù fino ad arrivare alla Hollywood del 1969 il passo è breve, ma il grado di fedeltà alla storia resta comunque alquanto personale perché con Tarantino storia e invenzione camminano sempre di pari passo, se in
Bastardi senza gloria persino Hitler non può far nulla contro la rivincita ebrea, in
C'era una volta a... Hollywood addirittura la macchina da presa del regista stesso si confonde con quella di un set western ricreato e tutto diventa immediatamente magnifico.
C'era una volta a Hollywood, Hollywood, diversa non nell'aspetto perché le insegne luminose e le speranze degli aspiranti attori vivono ancora oggi, ma diversa nell'incertezza dell'industria del cinema non più classica, nell'era delle produzioni televisive girate nei vecchi e grandi studi delle major, nelle sale e drive-in che proiettano opere dimenticabili e dimenticate, nelle trasmissioni radio e nei programmi per bambini.
C'era una volta a Hollywood l'anno 1969 tristemente ricordato per gli omicidi di Cielo Drive, il criminale Charles Manson, mandante di tali omicidi e la sua pseudo-setta, la Manson Family. Per Quentin Tarantino il 1969 è stato un anno di demarcazione in cui la vecchia Hollywood è morta e la nuova Hollywood, quella dei grandi film anni '70, della nuova generazione di attori, la hippy Hollywood è nata. C'era una volta una città così come Tarantino se la ricordava, una città in cui il cineasta è nato e cresciuto. Se è vero che tutti i film di Quentin Tarantino sono film sul cinema, allora C'era una volta a... Hollywood lo è più degli altri. Il nono film, probabilmente il penultimo in carriera, è il suo lavoro più intimo e personale dell'intera filmografia. Una vera e propria lettera d'amore alla città delle stelle e alla sua passione per il cinema, un modo per raccontare ed evocare il mondo cinematografico di quando era bambino e nel quale si riconosce.
C'era una volta a... Hollywood diversamente dai classici tarantiniani non è narrativamente strutturato a capitoli, ma presenta una narrazione a mosaico nella quale parallelamente vengono sviluppate le vicende di tre personaggi principali: due di fantasia, ovvero Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) e la sua controfigura Cliff Booth (Brad Pitt) e una giovane attrice realmente esistita, Sharon Tate interpretata da Margot Robbie. Tre personaggi, tre attori straordinari, forse alle prese con la loro miglior interpretazione di carriera, ma d'altronde Tarantino è sempre stato in grado di tirare fuori il meglio dai suoi attori.
Tra il solito citazionismo e l'ironico omaggio al cinema italiano, al genere poliziesco e spaghetti Wester, il film è distinto in due parti: nella prima, poco tarantiniana, il regista americano si attiene con sospettabile fedeltà alla storia, ai fatti realmente accaduti o almeno considerando che due personaggi principali su tre sono di fantasia, a fatti realmente credibili. Ma cosa vuole raccontare Tarantino nella prima parte del film? Semplicemente la vita quotidiana di tre personaggi a Hollywood, due giorni della loro vita a febbraio del 1969, un racconto di una storia molto più ampia apparentemente fine a se stesso, ma che nasconde tanto poiché racconta tre diversi livelli di Hollywood: Sharon Tate vive al livello più alto, nella villa posta più in alto, ha successo, una vita agiata ed è la moglie di Roman Polanski. Poi c'è Rick che se la cava, lavora come attore, fa qualche soldo ma spende per avere il tenore di vita desiderato, compra una casa a Hollywood per far capire che lui ci vive e non è solo di passaggio. Al livello più basso invece c'è Cliff, anche lui lavora nel mondo del cinema come controfigura, ma vive in periferia perché non fa molti soldi e rappresenta tutti coloro che nonostante lavorino nel settore dell'intrattenimento non vivono il glamour di Hollywood. Tarantino mostra una Hollywood classista nella quale scalare le classi è facile, basta sfruttare al meglio l'occasione giusta per far svoltare la carriera e avere successo oppure commettere un passo falso per fallire clamorosamente. Nella seconda parte il film diventa quasi un documentario con la voce narrante di Francesco Pannofino che permette un salto narrativo lungo sei mesi, il racconto raggiunge le dimensioni della storia e finalmente ci siamo. Quattro componenti della Mason Family si introducono, anche poco furtivamente, in Cielo Drive a mezzanotte del 9 agosto 1969. Ma cosa sta per succedere? Chi conosce i tristi fatti di cronaca si aspetta l'omicidio di Sharon Tate e dei suoi amici all'interno della propria abitazione, chi al contrario è poco informato non sa cosa aspettarsi, ma chi conosce Quentin Tarantino invece si aspetta qualsiasi cosa. Infatti il finale è pura follia tarantiniana: la storia viene rielaborata, la violenza viene resa esaltante e divertente allo stesso tempo e se è vero che il titolo così come il racconto è iniziato con "C'era una volta", allora è giusto e lecito che finisse con un bel "e vissero tutti felici e contenti".
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