Il
Joker di
Todd Phillips si presenta al cinema con un curriculum vitae a dir poco invidiabile: una mole di pubblicità elevata e alimentata anche dalla vittoria quasi inaspettata del Leone d'oro alla mostra del cinema di Venezia, dalla calorosa accoglienza di pubblico e critica (già al primo posto al box office dopo solo il primo weekend di proiezione), dalla curiosità verso l'ascesa/metamorfosi professionale e artistica di Todd Phillips che con successo riesce a passare dalla direzione di commedie (
Road Trip, l'apprezzata trilogia di
Una notte da leoni,
Parto col folle) al cinema d'autore, passando per l'audace thriller
Trafficanti. Una parabola che non sorprende se paragonata, ad esempio, a quella di altri due sconosciuti registi indie che finiscono per realizzare il più colossale e miliardario blockbuster Disney (i fratelli Russo da
Welcome to Collinwood ad
Avengers) o di una coppia di registi del cinema demenziale, scoppiata per vincere il Premio Oscar come miglior film 2019 (Peter Farrelly da
Tutti pazzi per Mary o
Scemo e più scemo a
Green Book).
Ma il successo di Todd Phillips è da condividere, in questo caso, anche con Joaquin Phoenix, uno dei talenti più sottovalutati di Hollywood (almeno fino ad ora), capace di prestare corpo e movenze, mimiche e facciali più o meno ispirate e donare un'anima che nella storia del cinema rimarrà tanto inimitabile quanto irraggiungibile al personaggio più iconico, il nemico numero uno di Batman, il cattivo fumettistico e cine-fumettistico per antonomasia. Curioso sapere che inizialmente l'attore americano non era intenzionato ad interpretare un personaggio di un cinecomic, ruolo già rifiutato in passato quando gli fu proposto
Doctor Strange o di sostituire Edward Norton in
Avengers nei panni di Hulk, semplicemente perché non possiede nessuna conoscenza sul mondo dei fumetti. Secondo rumors e indiscrezioni sembra persino che Joaquin Phoenix non sia molto contento di legare in maniera così evidente il film che lo vede protagonista alla mitologia di Batman, personalmente, vista la sua immensa interpretazione, sulla quale non mi soffermerei molto dopo averla definita semplicemente da Oscar, non mi sento di dargli torto. Ma alla fine, nonostante
Joker sia una origin story lontana dalla saga e il culto dell'uomo pipistrello, non poteva osare così tanto da recidere ogni legame con il fumetto. Anzi, l'ombra dell'uomo pipistrello è un'ottima referenza per il curriculum vitae di
Joker. Il fascino verso il personaggio contribuisce ad alimentare la propaganda, la pubblicità, l'affluenza in sala e di conseguenza gli incassi tradendo gli ideali del cinema d'autore.
Senza l'introduzione del personaggio di Thomas Wayne e la città di Gotham sullo sfondo, il film avrebbe avuto lo stesso carattere made in DC oscuro e adulto, ma sarebbe stato allo stesso modo un film valido e funzionante perché guai definire
Joker un cinecomic. Il film di Todd Phillip, per sua stessa pubblica ammissione, non è un adattamento cinematografico ma una sorta di noir metropolitano collegato al cinema americano degli anni settanta, cupo, violento, scorsesiano. Il giusto compromesso è l'espediente di ambientare il film negli anni '80 e in una Gotham city che molto ricorda la New York sfaccettata ed esplorata da Scorsese in
Taxi driver, per estraniarsi dalla continuity dell'universo cinematografico DC (da
Batman vs Superman, Justice League o Suicide Squad) o dalla trilogia contemporanea di Nolan. Ma a proposito di Scorsese e Taxi driver, divertente è giocare ad individuare i titoli e le opere dalle quali Phillips trae ispirazione per la formazione del suo
Joker dalle più esplicite, il
Toro scatenato di Martin Scorsese dal punto di vista tecnico,
Re per una notte per l'ossessione dell'immagine e il pubblico che eleva i mostri a star, il delirante viaggio psicologico di Trevis Bickle in
Taxi driver, ma anche allo stand-up comedian Andy Kaufman interpretato da Jim Carrey in
Man of the moon capace di non far ridere o il clown triste di Charlie Chaplin in
Luci della ribalta. Personaggi da esorcizzare perché impossessati all'interno dalla versione peggiore di loro stessi, abbandonati dalla società, traditi o ignorati dalle istituzioni, presi in giro dal sistema politico e in cerca di giustizia privata. Fino alla graphic novel scritta da Alan Moore e disegnata da Brian Bolland nel 1988,
Batman the killing Joke, nella quale
Joker è un comico fallito, rimasto vedovo con il volto sfigurato dai rifiuti chimici in seguito ad una rapina finita male oppure, nel disegnare l'aspetto, a fatti realmente accaduti, ovvero al serial killer John Wayne Gacy, soprannominato il killer clown che tra il 1972 e il 1978 uccise 33 adolescenti, dopo averli intrattenuti con trucco e costume da pagliaccio.
Chi è
Joker senza Batman? Cosa realmente mostra il film di Todd Phillip? La vita di Arthur Fleck, un uomo che abita in un piccolo appartamento con sua madre, un'anziana donna alla quale presta cure e assistenza. Un uomo che soffre di un disturbo che lo fa scoppiare a ridere involontariamente e istericamente (riso spastico), causato da profondi traumi infantili. Un aspirante cabarettista che sogna di fare il comico in tv, come il suo idolo, il presentatore di un Late Show, interpretato nel film da Robert De Niro. Ma la trama fin qui esposta è solo un punto di partenza per lo spettatore, dal quale partire verso una soggettiva interpretazione perché esistono diversi modi di vedere
Joker ed a seconda di chi guarda, dei suoi sentimenti, delle sue esperienze, del suo stato d'animo ognuno può percepire e si può relazionare al personaggio in maniera differente.
Quindi Joker può essere il risultato della malattia mentale di Arthur, senza veicolare il messaggio che l'instabilità mentale è sinonimo di pericolosità o malvagità poiché minaccioso, invece, può essere il populismo. Un popolo in cerca di un capo vede in Joker, il giustiziere della metropolitana che libera il proprio demone interiore in diretta tv, figura da eleggere come simbolo per un movimento rivoluzionario urbano. Joker può essere la conseguenza di un disagio sociale procurato da traumi familiari, non compreso dal sistema sanitario, un disastrato sociale costruito dalla incapacità delle istituzioni, costrette a chiudere per mancanza di fondi, o del governo che pensa più a ordinare di prescrivere medicine invece che ascoltare chi ha bisogno e capire le cause del disagio. Joker può essere chiunque, un vicino di casa, un parente, un vip caduto in rovina, un immigrato, un invisibile senzatetto, Joker è colui che abbandonato al suo destino potrebbe anche morire sul marciapiede ed essere calpestato dai passanti. Joker può essere il marcio rapporto che sussiste tra il reale e lo spettacolo, lo show business che trasforma in star personaggi bizzarri e lavora sulla creazione di una immagine pubblica fittizia, regala illusioni fingendo di operare per il loro bene, sulla loro fame anziché sulla loro fama. Arthur lo prova sulla propria pelle come la delusione scaturita dopo esser stato messo in ridicolo in televisione, tradito dalla fiducia riposta nel suo idolo di sempre oppure Joker è la somma di tutto questo o il rapporto per zero che porta come risultato uguale a zero.
Unica certezza resta il fatto che quasi all'unanimità il Joker di Todd Phillip piace, usciti dal cinema, ognuno per ragioni diverse, esprime un parere positivo. Leggendo commenti sul web, però, ho iniziato a diffidare sulla veridicità di tali commenti, chiedendomi: il film piace davvero oppure esprimere un parere diverso dalla massa, essere una voce fuori dal coro, magari di chi il film non l'ha compreso o non è stato emotivamente coinvolto o magari si è annoiato (qualcuno timidamente ha provato a esporsi criticando il ritmo del film definendolo lento e subito è stato verbalmente, ovvero digitalmente, aggredito da pseudo esperti di cinema da tastiera) è sinonimo di auto-esclusione sociale? La profondità del film è facilmente compresa dallo spettatore medio oppure esprimere giudizi positivi è la moda del momento, così come postare e condividere sui social, far sapere che si è andati al cinema a vedere il film dell'anno rappresenta il miglior modo per soddisfare uno dei bisogni primari dell'uomo, ovvero l'appartenenza sociale, per non sentirsi come Arthur reietti all'interno di una società di cinefili?
Per me Joker è un film potente da tre principali punti di vista: in primo luogo per la sua profondità poiché riesce a toccare corde delicate, soprattutto per lo spettatore che nel personaggio interpretato da Joaquin Phoenix si immedesima o identifica, fa riflettere e pone domande alle quali rispondere è difficile, stimola a far pensare sulla politica (Thomas Wayne è caratterizzato come Donald Trump) e sulla società crudele nella sua indifferenza. In secondo luogo per la messa in scena magistrale, l'eccelsa fotografia, la scenografia fatta di ambienti bui, angusti, claustrofobici che rispecchiano lo stato d'animo di Arthur e accompagnano l'avvenuta di Joker. Inquadrature basse e in seguito ravvicinate al volto truccato di Phoenix per far entrare il pubblico nella sua testa e la colonna sonora poi, fantastica nella sua dissonanza scenica, ovvero musica generalmente felice per testo e ritmo, sparata in sequenze ad alto tasso emotivo e forte pathos. Infine come già detto in precedenza l'interpretazione di Joaquin Phoenix è semplicemente da Oscar, la sua danza metafora della metamorfosi di Arthur, dal perdente, insicuro e triste al temibile Joker, ma soprattutto la risata, quella dannata risata, involontaria e detestabilizzante, con la bocca ride, ma la mimica facciale tradisce il gioioso sentimento, occhi tristi ed esasperati. Joaquin Phoenix è unico, inimitabile, il suo Joker irraggiungibile.
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