L'ultimo war movie che ricordo di aver visto al cinema è stato
Dunkirk di Christopher Nolan che con
1917 di
Sam Mendes condivide la peculiare caratteristica di avere una trama alquanto semplicistica a dispetto di una magistrale messa in scena. Quando si parla di trama bisogna saper distinguere la storia dal racconto. Un film racconta una storia, ovvero uno stato di cose iniziale, personaggi, azioni, eventi connessi secondo una logica, conflitti e risoluzioni di questi fino al raggiungimento di uno stato di cose finale. Il racconto include questa storia e la intreccia al discorso, il racconto, in pratica, intreccia il cosa vuole essere narrato al come questo viene narrato.
La storia raccontata in 1917 è un episodio accaduto durante la prima guerra mondiale. Due giovani soldati inglesi vengono mandati in missione per consegnare un messaggio che possa in qualche modo fermare l'attacco, programmato dalla prima linea, all'esercito tedesco. I due ragazzi devono attraversare il territorio nemico in una corsa contro il tempo e non solo.
Ma il racconto, nello specifico quello cinematografico, è anche una catena di eventi legati tra loro da una relazione di causa ed effetto che accadono nel tempo e nello spazio. Il tempo del racconto in termini tecnici si distingue in tempo filmico, che riguarda il discorso e quindi consiste nella manipolazione o costruzione temporale al servizio del come narrare la storia e in tempo diegetico, ovvero il tempo del racconto è in funzione al cosa narrare. Se in Dunkirk, Christopher Nolan si diverte con il tempo filmico della sua storia, ovvero giocando con tre diversi livelli narrativi temporali, in 1917 l'intenzione principale di Sam Mendes è di rappresentare la storia al presente, ovvero raccontarla in tempo reale, in moda da far vivere allo spettatore in sala un'esperienza molto più che coinvolgente, grazie anche alle inquadrature strette sugli attori in scena, il pubblico è così immerso nell'azione da avere l'impressione di essere in trincea o di vivere la fatidica missione al fianco dei due giovani protagonisti: George Mackay e Dean-Charles Chapman assoluti protagonisti di una pellicola che può permettersi la comparsata di attori del calibro di Mark Strong, Benedicth Cumberbatch e il premio Oscar Colin Firth. Per realizzare questo non esiste miglior soluzione di raccontare la storia attraverso un unico piano sequenza, ovvero personalmente ho individuato due lunghi e finti piani sequenza, intervallati da uno spaccato temporale utile per far percepire la missione, lunga tutta una notte, in tempo reale, quindi in quasi due ore scarse di film.
Il piano sequenza è una delle tecniche cinematografiche di ripresa più antiche e complesse, la camera si muove in sincronia con le azioni degli attori come in una coreografia di danza, non ci sono tagli e non sono permessi errori, come in un'opera teatrale ogni volta che la ripresa inizia non si può più fermare o ripetere una determinata scena, perché comporterebbe l'eliminazione di lunghe riprese, a tutti gli effetti il risultato consiste in un'unica sequenza, quindi the show must go on. Per quanto riguarda lo spazio del racconto, il film si svolge totalmente in esterna, senza location che si ripetono, le riprese saranno state quindi condizionate dalle condizioni atmosferiche e conservare la stessa luce, gli stessi colori delle inquadrature, per non parlare della disposizione logistica dei scenari filmici costruiti ad hoc, non è altro che il risultato dell'eccelso lavoro, nonché premiato con il premio Oscar alla miglior fotografia di Roger Deakins.
Molto spesso la narrazione del racconto precipita in un circolo vizioso, per la gioia dei cinefili più raffinati, ovvero quando una storia inizia con una certa situazione destinata a modificarsi attraverso il susseguirsi di eventi che portano ad una nuova situazione con cui la storia termina. La suddetta situazione iniziale è quasi sempre una situazione di equilibrio, la stessa che vede il personaggio interpretato da George Mackay riposare appoggiato ad un albero in attesa di ordini. Un equilibrio rotto da un evento, ovvero quando egli viene scelto dal personaggio interpretato da Dean-Charles Chapman per intraprendere una missione a dir poco delicata e che potrebbe salvare la vita di migliaia di persone. Una situazione di squilibrio risolta dal compimento della missione verso una nuova situazione di equilibrio. Il riequilibrio è il capolinea e allo stesso tempo punto di partenza in questo circolo vizioso narrativo, il film termina con lo stesso George Mackay appoggiato ad un albero, ma con lo stato d'animo diametralmente opposto, il cuore riscaldato dalla luce del sole che segna l'inizio del nuovo giorno, un nuovo inizio tutto da scoprire perché per William Schofield (George Mackay) cosa gli serba il destino, così come il proseguimento della grande guerra, è ancora ignoto.
VOTO: 5 STELLE!
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