Andare al cinema non vuol dire solo recarsi fisicamente in un luogo in cui verrà proiettato un film, non vuol dire soltanto vedere un film. Andare al cinema vuol dire evadere dalla realtà, sognare, immaginare. Quando la sala si fa buia e le immagini iniziano a prendere vita sullo schermo, assieme alle luci si spengono anche i problemi che restano momentaneamente fuori e lontani, per qualche ora, con il cellulare spento e la mente accesa, si può essere chiunque ed essere ovunque pur restando seduti comodamente sulla poltrona perché andare al cinema vuol dire soprattuto viaggiare. Non è la prima volta che espongo questo concetto e non sarà l'ultima, ma ci tenevo a ricordarlo in questo periodo difficile per il nostro paese, con le sale chiuse e tanta necessità di evadere dalla triste realtà, dimenticare i problemi e rivivere nostalgici l'esperienza di andare al cinema.
Ci sono film che facilitano l'evasione dalla realtà. A volte basta davvero un dettaglio narrativo, un episodio o un aneddoto, un aspetto nella caratterizzazione del personaggio protagonista, una particolare inquadratura o una suggestiva colonna sonora, insomma a volte basta una piccola scintilla per far ardere il tizzone della propria sfera emotiva, del proprio bagaglio di esperienze, bruciare il combustibile che alimenta la macchina capace di far rivivere i ricordi e di conseguenza far provare empatia. Non a caso evasione fa rima con immedesimazione, ma chiudersi in camera e alzare al massimo il volume del proprio televisore non potrà mai replicare l'atmosfera che la sala cinematografica sa regalare, quella atmosfera dolce e avvolgente come braccia materne capaci di cullare lo spettatore verso una soave immedesimazione.
Ci sono anche film, però, nei quali immedesimarsi per qualcuno può risultare pericoloso perché in qualche modo sono incapaci di far evadere dalla realtà, anzi la realtà la rigurgita severamente in faccia, ovvero quella parte di essa che da forma ai problemi e Tornare a vincere rientra in questa categoria di film. Il nuovo lungometraggio di Gavin O'Connor segna il ritorno sul grande schermo di Ben Affleck dopo il rehab, cioè dopo la riabilitazione da disintossicazione da alcol. Chissà quanto sia stato difficile per lui interpretare Jack Cunningham, immedesimarsi in un uomo divorziato, ma soprattutto alcolizzato, ad un passo dal baratro personale, chissà quanto sia stato pericoloso rivivere certi gesti, come aprire un frigo pieno di lattine di birra e sostituire quella più fresca con quella più calda nel congelatore, entrare in un bar di giorno, sedersi al bancone, vedere il barman riempire e porgere boccali di birra da bere tutti in un sorso, uscire dal medesimo bar di sera accompagnato a casa da un gentile conoscente, correggere con l'alcol il caffè e nascondere la fiaschetta sul luogo di lavoro. Jack Cunningham è un ex campione di basket (ai tempi del liceo) che ha dovuto abbandonare all'improvviso una promettente carriera nel mondo professionistico al quale, però, la vita regala una seconda occasione poiché gli viene proposto di allenare una squadra giovanile, non una qualsiasi, ma la stessa che in passato con lui in campo ha raggiunto i tanto ambiti play-off.
Il mio iniziale scetticismo nei confronti di Tornare a vincere trova conferma durante la visione del film. Storie di seconde opportunità, di rivincite e crescite personali, di vittorie e imprese sportive nel cinema contemporaneo sono all'ordine del giorno, come previsto la squadra che deve allenare Jack Cunningham, composta da dieci "scappati di casa", non vince da anni, ma grazie alle dritte e gli allenamenti del coach ritrova risultati, armonia collettiva, ma soprattuto cambia mentalità per raggiungere finalmente i play-off. La sceneggiatura è priva di mordente e raggiunge il climax emotivo abbastanza banalmente (nel momento più inopportuno, ovvero quando finalmente le cose iniziano a girare per il verso giusto, coach Cunningham tocca di nuovo il fondo a causa dell'alcol), ma subisce nel finale un risvolto inaspettato tale da suggerire che il vero protagonista della storia è sempre stato il coach Jack Cunningham e non la sua squadra di basket. Gli indizi che lo suggeriscono sono sempre stati sotto il naso, ovvero basti pensare che il film non è ispirato ad una storia vera come la maggioranza dei film di genere sportivo, non tutti i componenti della squadra hanno una caratterizzazione sfaccettata e i pochi esaminati non lo sono in modo approfondito, le dinamiche e i rapporti tra i compagni di squadra non vengono per nulla mostrati e per finire si perde ogni tipo di focus sulle sorti della squadra dopo che ha raggiunto i play-off. Tornare a vincere non è propriamente un film sportivo, le gesta e gli eventi sportivi che chiamano in causa i giovani giocatori di basket fanno solo da cornice per la drammatica storia di Jack Cunningham. Il titolo italiano è forviante, il verbo "vincere" si sposa bene con le imprese sportive, ma se consideriamo il titolo originale del film, ovvero The Way Back che possiamo tradurre come "la via del ritorno", ecco che abbiano un altro indizio che fa da prova. Ritornare sui propri passi, percorrere la via del ritorno, la via di casa, della normalità, di tutto quello che si è perso e si vuole ritrovare. L'intestazione originale non lascia altre interpretazioni, se Tornare a vincere gioca sul doppio binario della rivincita personale di Jack e collettiva della sua squadra di basket, The Way Back si riferisce alla vittoria personale e professionale di un uomo che possiamo chiamare Jack Cunningham o indistintamente Ben Affleck. Il film di Gavin O'Connor è palesemente scritto a misura di Ben Affleck, il ruolo che l'attore statunitense interpreta è quasi autobiografico. Tornare a vincere vive sul parallelismo di due uomini, Jack Cunningham e Ben Affleck, entrambi divorziati ed entrambi ex alcolizzati, ma soprattutto ripaga la curiosità di rivedere il due volte premio Oscar. Per Ben Affleck tornare a vincere vuol dire tornare a recitare, anche se questo significa mostrarsi al pubblico appesantito e con il volto che non nasconde i segni della sua personale battaglia vinta (spero definitivamente) contro l'alcol. Nonostante sia quasi monoespressivo, a tratti apatico, assente e cupo non è difficile percepire quanto per lui questa interpretazione sia stata intima e sofferta.
Le inquadrature, soprattutto nella prima parte del film sono molto intelligenti, ovvero distanti. Ben Affleck non ha mai primissimi piani, viene spesso inquadrato attraverso vetri, porte, addirittura in una scena girata nell'appartamento di jack la videocamera è posta all'interno di un pensile da cucina, così da ridurre lo spazio filmico e rappresentare il personaggio intrappolato nel suo problema. Non vorrei pensare maliziosamente che le inquadrature fredde e distaccate servono a nascondere l'aspetto non ottimale del ritrovato attore, piuttosto preferisco interpretare quanto queste facciano da filtro e distaccamento emotivo per lo spettatore che deve provare meno empatia verso il Jack alcolista a favore di un Jack ritrovato sulla via della redenzione. La crescita del personaggio è accompagnata con un avvicinamento progressivo delle inquadrature verso il suo volto e nel finale i colori si fanno sempre più vivi come il tripudio di festoni intorno al campo di basket gremito di gente.
In Tornare a vincere non assistiamo certo alla miglior interpretazione della carriera di un giustificabile Ben Affleck, ma senza la sua partecipazione, considerando la debolezza del soggetto, il film di Gavin O'Connor non avrebbe avuto la stessa potenza emotiva. Impossibile vedere Ben Affleck interpretare Jack Cunningham, un operaio, ex campione di basket, divorziato, alcolizzato, sulla soglia del baratro e non pensare alle sue reali e tristi vicende personali, immedesimarsi e non provare le sue stesse paure e dolori. Quando Jack riceve la proposta di allenare la squadra giovanile di basket passa una notte intera a bere e a inventare scuse da rifilare per rifiutare l'incarico. Jack è terrorizzato perché ha paura di mettersi in gioco, ha paura di fare qualcosa di buono, di risollevare la propria vita, crede di non essere all'altezza, di deludere le aspettative. Ho visto il film nella mia camera e con il volume del televisore al massimo per coprire le urla che quotidianamente provengono dal condominio in cui abito, per fortuna non l'ho visto in sala perché se lo avessi visto al cinema, avvolto dalla sua magica atmosfera, non avrei fatto fatica ad immedesimarmi in quel uomo spaventato che nonostante tutto cerca scuse per non cambiare la situazione nella quale vive: confortante, abitudinaria, ma estremamente infelice. Per fortuna? Ehm, ehm... ok lo ammetto, mi manca terribilmente, al più presto voglio tornare al cinema.
VOTO: 3 STELLE!
Seguitemi su Instagram, Twitter o sulla nuova pagina Facebook per conoscere altre curiosità ed essere sempre aggiornati sui nuovi contenuti di IfilmchevedeDario.
Commenti
Posta un commento