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Minari: un messaggio di fede e speranza di Lee Isaac Chung
Non sempre le cose vanno come vorremmo, non sempre i desideri si realizzano o i progetti prendono la stessa forma con la quale li abbiamo disegnati, ma di sicuro esiste sempre un modo per poter rimediare, modificare il corso degli eventi, rimboccarsi le maniche e ricominciare qualsiasi tipo di attività, reinventarsi professionalmente, iniziare persino una nuova vita, una nuova esistenza, così come è sicuro che dopo ogni lunga e travagliata notte sorge sempre il sole. Poi è solo una questione di orientamento, puntare la bussola per capire da che parte sorge il sole, ma soprattutto dove scorrono le fonti d'acqua per piantare il minari, l'equivalente italiano del prezzemolo, quindi un ingrediente perfetto in qualsiasi ricetta culinaria, un ortaggio coreano come la famiglia Yi, ormai americana di adozione come è testimoniato dai loro nomi: Jacob, Monica, David e Anna.
Trasferitasi dalla California alle campagne di "bifolchi" del Arkansas, la famiglia Yi, negli anni '80 in pieno boom economico, insegue un unico grande sogno. Lavoro e dedizione sono il mantra del cosiddetto "sogno americano" per raggiungere un tenore di vita migliore e una sana prosperità economica, ma ben presto il sogno che si prospettavano si trasforma in un incubo da cui fuggire, ovvero un terreno incenerito dal quale rigermogliare.
Minari, film scritto e diretto da Lee Isaac Chung, candidato a sei premi Oscar, mi ha lasciato, dopo la visione, un forte senso di tristezza e allo stesso tempo di curiosità. Chissà quanto possa considerarla una scelta ponderata o una reazione voluta, ma ho potuto colmare il senso di tristezza soltanto con l'analisi di alcuni elementi disseminati lungo l'arco narrativo del film. Dal punto di vista narrativo non esistono veri e propri punti di equilibrio, ma si susseguono solo momenti di rottura, di drammatiche rotture nelle vite narrative dei personaggi protagonisti. Questo è spiegato dal fatto che il soggetto è ispirato dall'esperienza autobiografica di Lee Isaac Chung, sudcoreano di origine, cresciuto proprio in una fattoria del Arkansas, dopo essersi trasferito dal Colorado quando era ancora un bambino. Minari per Lee Isaac Chung è una sorta di Amarcord felliniano, stilisticamente meno onirico, ma pensare che, grazie anche al lavoro fatto in sede di fotografia, lui abbia ricreato scene tali da rievocare ricordi della sua infanzia mi ha fatto modificare quell'espressione che avevo in viso sul finale del film, a favore di un sentimento nostalgico, in seguito definitivamente rasserenato.
Quando ho modificato quel senso iniziale di tristezza, post visione del film, in un definitivo stato di serenità emotiva? Quando ho capito che il vero messaggio del film è un messaggio di speranza, un inno trionfale in un periodo buio e insonorizzato come quello che stiamo vivendo a causa della pandemia da coronavirus. Quando ho notato quanto siano ben caratterizzati i personaggi protagonisti. Monica (Han Ye-ri), moglie e mamma premurosa, decide di dedicare le sue attenzioni verso la famiglia, alle cure da prestare al piccolo David che soffre di un problemino al cuore, alla crescita e formazione di Anna, ma soprattutto decide di dar fiducia all'ambizione del marito. Sente il bisogno di andare in Chiesa e conoscere nuove persone, integrarsi nel contesto rurale in cui vivono, ma soprattutto ha bisogno della presenza di sua madre. L'arrivo di nonna Soon-ja (nome esplicitamente coreano, in contrapposizione a quelli americanizzati dei componenti della famiglia Yi) e il suo contributo nelle dinamiche familiari e casalinghe rappresenta l'unico punto di riequilibrio narrativo, nonché sottolinea l'importanza del ruolo che la sua figura ricopre all'interno di un nucleo famigliare: con pazienza e incondizionato amore l'anziana signora, interpretata dal premio Oscar per la miglior attrice non protagonista Yoon Yeo-jeong, resiste all'iniziale diffidenza che il piccolo David nutre nei suoi confronti, impartisce insegnamenti, consigli ed educazione come se fosse una professoressa di vita, ma principalmente ha l'arduo compito di restare a casa ad accudire i due bambini quando Jacob e Monica sono a lavoro, ovvero impegnati nel sessaggio di pulcini e qui ho dovuto fare diverse ricerche per colmare quel secondo sentimento che ho provato dopo la visione del film, ovvero colmare la curiosità di conoscere la tecnica con la quale si svolge e le motivazioni alla base dell'origine di una nobile arte del passato.
Jacob Yi, interpretato dal candidato all'Oscar per il miglior attore Steven Yeun, è un sessatore esperto di pulcini, almeno lo era, perché trasferito in Arkansas viene distratto dall'attività agricola che sta cercando di avviare. Per Jacob e Monica il sessaggio di pulcini, seppur esigua, è un'importante fonte di reddito. Jacob, con azioni finanziariamente pericolose, impiega parte dei risparmi per acquistare, in Arkansas, una casa su ruote e un lotto di terra che nessuno voleva perché considerato maledetto dagli abitanti del luogo, il vecchio proprietario, infatti, si è suicidato dopo non aver raccolto, con la sua attività agricola in quel terreno, i frutti sperati. Jacob non vuole ascoltare queste voci, apparentemente sembra non credere in nulla, quasi neanche in Dio, lui è testardo, determinato, ambizioso e persino superbo, vuole mettere in piedi dal nulla non una semplice fattoria, neanche tanto un'azienda agricola che produce prodotti tipici asiatici, neanche un business incentrato sulla fornitura dei suoi prodotti alle catene di ristorazione di immigrati coreani precedentemente insediati in America, il signor Yi, in piena incoerenza con il suo essere apparentemente ateo, vuole creare il proprio Eden, vuole riuscire a realizzare qualcosa di grande perché, come lui stesso dice, i figli devono vedere il padre avere successo in qualcosa.
Minari è un intimo messaggio di speranza, ma tra le righe è possibile leggere diversi sottotesti: dal confronto generazionale al confronto culturale (Jacob congeda freddamente un rabdomante che promette di trovare due pozzi di acqua, all'interno della sua nuova proprietà, al prezzo di trecento dollari, dicendo al figlio che non riesce a capire come facciano gli americani a crederci, i coreani usano la testa perciò cercano una fonte d'acqua limitrofa affidandosi all'osservazione e alla preparazione scientifica), passando per il confronto tra credenze popolari e superstizione (per ricevere assistenza all'attività agricola viene assunto Paul, un tuttofare interpretato da Will Patton che crede di dover esorcizzare tanto il terreno quanto l'abitazione della famiglia Yi), fino al confronto sulle priorità da seguire nella vita. Jacob ha scelto di mettere il lavoro al primo posto, quasi ossessionato, finisce per trasformare il suo sogno americano in un incubo, per Monica invece la famiglia ha la priorità su ogni cosa ed in un confronto-scontro con il marito sembra quasi propagandare una sorta di "Chi mi ama mi segua", nel finale David e Anna, con il loro spontaneo gesto (partire all'inseguimento della spaesata nonna) sembrano far capire chiaramente da quale parte schierarsi.
Perché il film scritto e diretto da Lee Isaac Chung, vincitore del Golden Globe per il miglior film straniero, lancia un messaggio di speranza? Perché invita a compiere atti di fede, gli stessi che i protagonisti sono stati chiamati a compiere. Il piccolo David si affida alla preghiera affinché le sue condizioni di salute migliorino, Monica decide di dare fiducia, nonostante tutto, alle ambizioni del marito seguendolo in America (pensando al passato ricordano quanto tutto in Corea avesse dimensioni più ridotte) e l'atto di fede che compie Jacob, invece, è lo stesso atto di fede che qualsiasi piccolo imprenditore compie avviando una propria attività, rischiando i propri risparmi, i propri beni e quelli della famiglia in caso di un eventuale fallimento. L'attività agricola, inoltre, richiede molta cura e dedizione, ma soprattutto molta pazienza affinché si possano toccare per mano, vedere, a tutti gli effetti, i risultati del duro lavoro. Serve la terra, serve l'acqua, serve il sole, ma per far nascere un frutto serve soprattutto il tempo. L'attività agricola è la miglior metafora di vita per lanciare un messaggio di fede e speranza. Grazie Lee Isaac Chung, viva Minari.
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