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Dune - parte due: la fantascienza che ci piace!

Se mai un giorno Denis Villeneuve dovesse aprire un canale YouTube (oppure un profilo tematico su un qualsiasi social network) con l'intento di fare una sapiente divulgazione Sci-fi cinematografica, lo potrebbe intitolare "La fantascienza che ci piace", perché proprio come ha fatto con la fisica il famoso professore influencer, Vincenzo Schettini, rendendola (attraverso una superba attività di comunicazione) un po' alla portata di tutti, anche il regista e sceneggiatore canadese, quasi condividendo con il prof pugliese tale grande capacità comunicativa - in questo caso visiva - ha reso la fantascienza cinematografica a portata persino dei profani del genere.  La fantascienza di Villeneuve è tangibile, perché non è astratta nella forma, ma profonda e concreta nei contenuti. Dune - Parte due è il manifesto della sua peculiarità. Un sequel credibile (come dimostrato con Blade Runner 2049 ) sotto diversi punti di vista: la trama è fedele ai romanzi di Frank Herbert (a

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Gli Oscar che ha visto Dario

Gli Oscar che ha visto Dario

Mi metto comodo sul divano, in salotto, ho lo smartphone a portata di mano e il computer sul tavolino situato al centro della stanza, in un raggio d'azione tale da poter essere facilmente raggiunto dal mio braccio sinistro senza farmi scomodamente inarcare in avanti la schiena. Indosso il pigiama, dopo aver pubblicato un paio di storie su Instagram, in cui sfoggiavo una elegantissima camicia total black, mi sono cambiato a favore di un comodissimo blue and grey, se per i protagonisti la cerimonia quest'anno si può svolgere in presenza, per noi semplici appassionarti di cinema, invece, rimane in smart working e come tale richiede l'outfit adeguato. Accendo la televisione e premo il tasto numero otto sul telecomando. Schermo nero, qualche secondo di attesa e ancora schermo nero, qualche minuto di attesa, forse troppo per un caricamento del canale e ancora schermo nero. Appare un messaggio, suggerisce che il segnale dell'antenna è debole o completamente assente. 

Spengo la televisione del salotto e mi sposto in camera da letto. Mi metto comodo sul letto, lo smartphone è sempre a portata di mano, quasi risulta un prolungamento delle falangi della mano destra, il computer sulle ginocchia è caldo, anzi surriscaldato, inizia già a farmi sudare, ma resisterò. Accendo la televisione, poco più piccola rispetto a quella in salotto, ma posizionata più in alto. Premo il tasto numero otto sul telecomando. Schermo nero, di nuovo. Interminabili secondi di attesa e poi un nuovo messaggio di errore, nuovo nella grafica, ma non nel contenuto perché il segnale dell'antenna anche in camera è debole o completamente assente. 

Spengo perplesso la televisione e mi sposto in cucina, mi guardo intorno e ritorno subito in camera, mi rendo subito conto che in cucina non sarei stato abbastanza comodo per affrontare la lunga notte degli Oscar.
Tornato in camera mi riposiziono come in precedenza, ma poggio il computer sulla scrivania, rinuncio a scrivere sul blog in tempo reale (visto il notevole ritardo con il quale sto scrivendo questo articolo sembra quasi che abbia rinunciato a scrivere sul blog definitivamente) perché la soluzione al mio problema di segnale televisivo si chiama: Streaming. Sul sito internet di TV8, infatti, la novantatreesima edizione dei premi Oscar viene trasmessa in streaming e poco importa se a casa mia i premi verranno annunciati con il tradizionale ritardo buffering di almeno 30 secondi, almeno adesso sono finalmente pronto ad assistere allo show. 

Gli Oscar che ha visto Dario

Nel momento in cui riesco a connettermi è in corso il pre-show, le Stars fanno passerella sul red carpet ed uno dei presentatori si accinge ad intervistare la nostra Laura nazionale. Un'eccitatissima Laura Pausini risponde alle domande con un sorriso smagliante. Indossa un lungo abito Valentino, come lei stessa rivela, ricco di tasche segrete nelle quali nasconde oggetti portafortuna ai quali in una giornata così importante non può proprio rinunciare.

Oltre all'esibizione di Laura Pausini e in qualche modo le performance dei suoi competitor per il premio alla miglior canzone originale, il pre-show non riserva grandi colpi di scena, anzi il lungo countdown in sovrimpressione mi permette di andare in bagno per ben due volte e di prepararmi un buon caffè al ginseng. Bla, bla, bla, pubblicità, pubblicità e pubblicità, poi lo show finalmente ha inizio.
I colpi di scena sono pura utopia, però qualche premio a sorpresa viene assegnato. Non c'è un vero e proprio presentatore, diverse celebrità si alternano sul palco per annunciare i vincitori e consegnare le statuette, come da tradizione per i premi più importanti avviene il cosiddetto passaggio del testimone, la serata potrebbe anche scivolare via rapida e scorrevole, ma a rovinare i piani ci pensano gli innumerevoli spot pubblicitari che spezzettano la scaletta in blocchi, ma soprattutto i "pipponi". A differenza degli altri anni non c'è un limite di tempo tanto per i discorsi di ringraziamento quanto per la presentazione dei candidati nelle diverse categorie. Questa scelta da parte dei produttori e autori della notte degli Oscar, di lasciare la possibilità ai premiati di parlare di sé, oltre alla presenza in teatro di pochi addetti ai lavori, per ricreare un clima intimo e familiare, degenera nella formazione di lunghi, pesanti e noiosi "pipponi" da ascoltare. Eccezione che conferma la regola sono le parole di Thomas Vinterberg, il regista di Druk - Un altro giro, dedica il premio Oscar per il miglior film in lingua straniera alla figlia Ida morta in un incidente a pochi giorni dall'inizio delle riprese del film. 

Gli Oscar che ha visto Dario

Il discorso del regista danese rappresenta il momento più commovente di quella che sarà ricordata l'edizione più politicamente corretta della storia degli Oscar, anche più commovente del classico momento "in memoriam", per l'occasione sbrigativo e quasi irrispettoso a causa della velocità con la quale i nomi e i volti delle personalità compiante si sono susseguiti e la musica in sottofondo poco adeguata, in estrema contrapposizione del momento epico, topico, divertente della serata, ovvero il twerk di madame Glenn Close anche quest'anno, alla sua ottava nomination in carriera, a secco di statuette. Il curioso caso di Glenn Close, ovvero l'inspiegabile candidatura per la miglior attrice non protagonista tanto al premio Oscar quanto al Razzie Awards per l'interpretazione in Elegia Americana di Ron Howard. 

Gli Oscar 2021 presentano inoltre una scaletta completamente stravolta, considerando quelle degli anni precedenti, la serata si apre con i premi Oscar ad Emerald Fennell per la miglior sceneggiatura originale di Una donna promettente, Christopher Hampton e Florian Zeller per la miglior sceneggiatura non originale di The Father, adattamento cinematografico di uno spettacolo teatrale dello stesso Zeller, il miglior film straniero, il miglior attore non protagonista a Daniel Kaluuya in Judas and the black Messiah e la miglior regia a Chloé Zhao per Nomadland. Dopo, nella parte centrale della cerimonia sono stati assegnati i vari premi tecnici, ovvero l'Oscar per il miglior trucco, acconciatura e costumi a Ma Rainey's black botton, miglior sonoro e miglior montaggio a Sound of Metal diretto da Darius Marder, miglior effetti speciali a Tenet di Nolan, miglior scenografia e miglior fotografia a Mank di David Fincher. L'Oscar per la miglior canzone purtroppo non parla italiano e viene vinto da H.E.R. per Fight for you (Judas and the black Messiah), il film Disney Pixar, Soul, si aggiudica la statuetta per la miglior colonna sonora e miglior film d'animazione ed è Yoon Yeo-Jeong la miglior attrice non protagonista in Minari. La vera sorpresa viene riservata nel finale di serata, la scaletta prevede l'assegnazione del premio per il miglior film, al favorito (secondo i pronostici) Nomadland, prima dell'annuncio della coppia formata dalla miglior attrice protagonista, Francis McDormand (Nomadland) e del miglior attore Anthony Hopkins (The Father) al contrario del vincitore annunciato, secondo i pronostici, il compianto Chadwick Boseman. Alla fine niente Oscar in memoria (sarebbe stato il terzo nella storia), ma neanche nessun Oscar a Il processo dei Chicago 7 che fa notizia, soprattutto in una edizione equilibrata, ovvero nella quale i premi sono stati ben equidistribuiti. Spengo il computer e fuori già albeggia, mi rigiro nel letto e chiudo gli occhi sperando di fare poche ma buone ore di sonno, sperando di sognare d'oro, di fare sogni da Oscar.

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