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Il Divin Codino: basta mostrare la storia dell'uomo dietro il campione?
"Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore" canta Francesco De Gregori in La leva calcistica della classe '68, magnifica canzone, già usata da Gabriele Salvatores come colonna sonora del film Marrakech Express su suggerimento di Diego Abatantuono, ma che sarebbe perfetta, seppur scontata, anche all'interno della colonna sonora di Il Divin Codino, in primis perché la soundtrack, a mio parere, risulta poco accattivante e in alcuni momenti fuori contesto (ad esempio nelle sequenze finali), nonostante la canzone originale di Diodato (artista italiano del 2020, vincitore del festival di Sanremo e David di Donatello, Nastro d'argento e Ciak d'oro per la miglior canzone originale, nonché MTV Europe Music Award al miglior artista italiano), ma soprattutto perché, come supponevo, il climax emotivo del film biografico si raggiunge proprio col rigore sbagliato da Roberto Baggio nella finale mondiale del 1994 negli Stati Uniti. Rottura narrativa e incubo sportivo che Baggio si trascina dietro per molti anni, ma non un triste epilogo tanto della sua carriera calcistica, in fondo sbaglia il rigore solo chi ha il coraggio di calciarlo e il futuro del "codino divino" prevede un'esperienza straordinaria nel Brescia allenato da Carletto Mazzone, quanto l'epilogo del secondo lungometraggio della giovane Letizia Lamartire che ha ancora da mostrare come per un vero mito del calcio il più grande riconoscimento è l'affetto dei tifosi, tutti, indistintamente dalla squadre per la quale si fa il tifo perché "non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore".
"Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall'altruismo e dalla fantasia". Di fantasia, in campo, Roberto Baggio ne aveva davvero tanta, ma purtroppo nel film Netflix se ne vede poca poiché croce e delizia si rivela la scelta di inserire nel contesto narrativo solo pochi episodi e tappe della carriera calcistica del campione a favore, per citare il titolo della canzone di Diodato, dell'uomo dietro il campione, schivo, riservato e anti-divo nonostante lo sponsor inaspettato fatto da Madonna, durante il concerto in Italia nel 1990, indossando la sua maglietta numero dieci.
Realizzare un buon film biografico è sempre difficile, se poi il personaggio in questione è legato al mondo dello sport, al calcio in particolare, l'impresa si fa ancor più ardua. Portare un codino negli anni '90, in Italia, significava voler diventare animatore nei villaggi turisti come Rosario Fiorello oppure calciatore come Roberto Baggio, un personaggio iconico, conosciuto da tutti, perché in fondo tutti hanno un aneddoto o una storia legata a lui come i dolci ricordi d'infanzia della regista barese Letizia Lamartire.
Input per la realizzazione della struttura narrativa di Il Divin Codino sono state le parole dette dallo stesso campione: "quando sei immerso in quello che fai i successi quasi non li percepisci, te ne rendi conto solo alla fine, ma sono i dolori e le delusioni a rimanerti dentro". Così al gol su punizione contro il Napoli di Maradona, al rientro dopo un anno e mezzo di inattività con la maglia della Fiorentina, al successivo contestato passaggio alla Juventus, causa di rivolte a Firenze e ai trofei vinti con la maglia bianconera in soli tre anni di militanza, tra i quali anche il pallone d'oro nel 1993, massimo riconoscimento individuale per un calciatore (solo per fare alcuni esempi), tappe e momenti chiave da ricostruire sullo schermo anche in termini di calcio giocato, soprattutto nei confronti dei giovani spettatori, appassionati di calcio che usufruiscono del servizio streaming Netflix e magari sono nati persino dopo l'emozionante ritiro di Baggio, si preferisce mostrare solo gli infortuni (triste costante nella carriera di Roberto Baggio, una carriera che poteva già interrompersi ancor prima di iniziare a causa di un gravissimo infortunio rimediato nell'ultima partita con la maglia del Vicenza in serie c, quando aveva già firmato un ricchissimo contratto con la Fiorentina che gli fece esclamare, rivolgendosi a sua madre sul letto di ospedale dopo un delicato intervento: "se mi vuoi bene, uccidimi"), il già citato rigore sbagliato e la mancata convocazione ai mondiali del 2002, insomma raccontare soprattutto i fallimenti, i momenti difficili, privati che il grande pubblico non conosce, il suo lato oscuro, ma allo stesso tempo il suo lato spirituale e meditativo.
"Sole sul tetto dei palazzi in costruzione, sole che batte sul campo di pallone... Nino cammina che sembra un uomo con le scarpette di gomma dura, dodici anni e il cuore pieno di paura". Lo scenario che descrive De Gregori è lo stesso del paesino in provincia di Vicenza in cui è nato Roberto Baggio, il campetto in cui è calcisticamente cresciuto, il dodicenne che affronta la paura di petto e sogna di calciare un importante calcio di rigore è lo stesso che si vede nelle prime sequenze del film, ma il suo passato è poco contestualizzato, lo stesso vale per lo spazio narrativo irrilevante dedicato alla sua numerosa famiglia, la storia d'amore che instaura con la sua futura/attuale moglie Andreina (nel film Valentina Bellè) o il particolare rapporto con il padre, un uomo tutto d'un pezzo, lavoratore umile ed emotivamente freddo, una figura paterna che Baggio cercherà inutilmente nel legame con i vari allenatori, da Sacchi a Trappatoni (che gli nega la convocazione al suo ultimo mondiale nel 2002), caratterizzati per l'occasione come spietati antagonisti, passando anche dal rapporto umano e sportivo con altri grandi allenatori come Marcello Lippi, Fabio Capello o Gigi Simoni (solo per citarne alcuni) che nel Il Divin Codino non vengono neanche menzionati, fino a giungere all'esperienza bresciana, il suo rapporto con Carlo Mazzone meriterebbe una sceneggiatura ad hoc.
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