La tentazione di leggere l'opera letterale fantascientifica per antonomasia, ovvero almeno il primo di quei sei romanzi scritti da Frank Herbert, si è manifestata più volte nel corso della mia crescita adolescenziale, ma da quando è stata annunciata una nuova trasposizione cinematografica ad opera di Denis Villeneuve, uno dei registi più interessanti nel panorama contemporaneo, all'effettiva uscita in sala di Dune (arco temporale che comprende anche il ripetuto rinvio della fatidica data di uscita a causa della pandemia mondiale da coronavirus e il fermo ripudio verso la distribuzione sulle piattaforme streaming), la suddetta tentazione si è ripresentata con tale potenza da farmi quasi vacillare. In vista di un'estate libera da impegni, passata poi principalmente in spiaggia, sotto l'ombra di un improvvisato ombrellone nelle ore ante meridiem e cullato dall'ozio su di una comoda amaca sudamericana nelle ore post meridiem, sono stato anche in un negozio di libri, così vicino al frutto dell'Eden da poterlo mordere, anzi sniffare perché si sa che tale gesto implica di conseguenza l'acquisto di un nuovo libro, ma saranno state le oltre seicento pagine, ovvero il peso della lettura a convincermi di ripiegare (se così si vuol dire) verso il primo romanzo di Quentin Tarantino, C'era una volta ad Hollywood, lettura piacevole e scorrevole, fresca come le giornate estive che avrei tanto desiderato vivermi in una estate da caldo record, ma che in tema di volume e numero di pagine quasi non è da meno.
Mentre scrivo la tentazione si sta trasformando in un vero e proprio desiderio ed un po' come accaduto con C'era una volta ad Hollywood andrà a finire che prossimamente acquisterò il libro di Dune, intraprendendone la lettura dopo la visione della trasposizione cinematografica, così da associare ai personaggi letterali i volti di Timothée Chalamet, Zendaya, Rebecca Ferguson, Jason Momoa, Oscar Isaac, Stellan Skarsgard, Dave Bautista, Javier Bardem o Josh Brolin, ma soprattutto condividendo la visione di Denis Villeneuve, perché in fondo è proprio la sua visione del futuro che fa tutta la differenza, così come la sua capacità di rappresentarla sul grande schermo con una facilità disarmante, per farla percepire estremamente reale agli occhi dello spettatore.
Il rampollo di una nobile famiglia, Paul Atreides (Timothée Chalamet), si trasferisce con la madre Lady Jessica (Rebecca Ferguson) e il padre, il duca Leto (Oscar Isaac), sul pericoloso ed inospitale pianeta di Arrakis, incaricati direttamente dall'imperatore di amministrare le terre (ricche di dune del deserto) e soprattutto organizzare tutto il processo economico, dalla raccolta alla produzione, fino al commercio della "Spezia", una materia prima, rara e ricercata, in grado di dare capacità sovrumane, ma prima di tutto importante carburante per effettuare con futuristiche astronavi, lunghi viaggi spaziali. Arrakis è abitato da enormi creature che si muovono tra le dune del deserto e dalla comunità dei Fremen (tra i quali il leader interpretato da Javier Bardem e Chani, personaggio dal volto di Zendaya che risulterà in seguito importante nel contesto narrativo), ma soprattutto a rendere la trama ancor più intrecciata ci pensa la Casata Harkonnen, guidata dal Barone Vladimir, un irriconoscibile Stellan Skarsgard e il nipote Glossu Rabban (Dave Bautista) intenzionata a mettere le mani sui guadagni che vengono generati dal commercio di Spezia.
Con la realizzazione di Dune, Denis Villeneuve raggiunge sicuramente il punto più alto della sua carriera, un progetto a cui ha dedicato oltre tre anni (anche a causa covid-19), come lui stesso afferma, il film più difficile della sua filmografia, ma anche il migliore, nonché l'adattamento dei suoi sogni. Villeneuve con adattamenti, trasposizioni e remake ci ha abituato troppo bene e dopo aver azzardato con il sequel di Blade Runner si consacra guru del genere sci-fi. Dune è ambientato in un futuro lontanissimo, così lontano da sembrare paradossalmente vicinissimo al presente in cui viviamo: una nobile famiglia metafora di potenza si impone su di un territorio ricco di risorse e materie prime, ma povero di infrastrutture o cultura, preparazione, consapevolezza economico-organizzativa della popolazione locale. Consideriamo come questa potenza imponga il suo potere e la sua superiorità nei confronti dell'impreparata popolazione per sfruttare il territorio solo per estrarre le preziose materie prime, puro sfruttamento a discapito non solo politico e sociale, ma persino ambientale. Proviamo persino a considerare come la suddetta popolazione locale dedita a propri riti e credenze, sia ancora in attesa di un proprio Messia, riconoscendolo nel rampollo appena sceso dal cielo e in suo nome sono disposti ad intraprendere una guerra Santa. Quanto vi sembra reale questa visione del futuro? Il contesto fantascientifico passa subito in secondo piano ed improvvisamente Dune è capace di trattare temi ben differenti: ambientalismo, religione, conflitto tra destino o fato e il libero arbitrio, il superamento delle proprie paure come ad esempio quella di deludere le aspettative.
Villeneuve riesce a mantenere l'essenza del romanzo originale, vincitore del premio Hugo e del premio Nebula, il libro di fantascienza più venduto di sempre, parafrasandone quasi pagina per pagina il contenuto e traducendone ogni complessità sul grande schermo nel modo più semplice possibile così da accompagnare nella comprensione lo spettatore che non ha letto il libro. Il montaggio netto e rapido dimostra quanto il materiale a disposizione di Villeneuve era eccessivo, la scelta di dividere solo la storia del primo libro in due film per analizzare due differenti punti di vista risulta efficace, ogni minima scena è sequenza ponderata e curata nel minimo dettaglio (senza dilungarsi troppo sull'impatto visivo delle riprese fatte in IMAX); per questo motivo viene anche riservato molto spazio narrativo alla figura femminile, alla madre di Paul e al suo rapporto con il figlio, nonostante la storia viene vissuta dallo spettatore attraverso gli occhi del rampollo Paul, infatti uno degli elementi più potenti del libro (testimoniato anche dal film realizzato nel 1984 da David Lynch) riguarda la sorellanza delle Bene Gesserit e il personaggio di Lady Jessica, dotato di poteri straordinari.
Dune di Denis Villeneuve, infine, vive sul parallelismo tra la carriera in ascesa del suo stesso regista e dell'attore protagonista, un convincente Timothée Chalamet, considerato da molti il nuovo Leonardo DiCaprio. Possiamo valutare Dune come il film Titanic di Chalamet, ovvero la sua consacrazione artistica? Di sicuro la sua carriera non conoscerà naufragio come non è ancora naufragata quella di DiCaprio, il protagonista di C'era una volta ad Hollywood, il film e il romanzo di Quentin Tarantino. Così ad un tratto, il cerchio si chiude, tutto torna e acquista un senso. Il primo giorno di uscita del film, al primo spettacolo di giornata, orario insolito, ovvero ore tre del pomeriggio, ho condiviso l'attesa dell'apertura della sala con un arzillo signore anziano. Manifestava un incontenibile entusiasmo verso il film che stavamo per vedere perché come da lui confessato tornava al cinema dopo tantissimi anni di assenza, convinto dal trailer visto in televisione, lui che ha letto il libro di Herbert, anzi tutta la serie di romanzi e nel 1984 era in sala per vedere il film di Lynch, con la sua attuale moglie, rimanendone però deluso da una visione del regista estremamente confusionaria e lontana da quella dei romanzi, opere (detto da lui) rivoluzionarie che hanno ispirato la fantascienza a venire dagli anni '60 ad oggi, compresa la saga di Star Wars. Villeneuve ha il pregio di rappresentare la sua visione del futuro e della fantascienza così vicina alle percezioni dello spettatore da sembrare reale, violando una delle avvertenze poste dopo la riapertura delle sale, mi sono avvicinato a meno di un metro dal simpatico signore, mascherina ben posizionata, ho allungato una mano per presentarmi e stringere la sua più rugosa allo scopo di manifestargli la mia stima e il piacere per aver conversato con lui, nonché l'intento di immediata igienizzazione. Curiosamente abbiamo scoperto di essere omonimi e la mente ha iniziato a viaggiare con la fantasia appena preso posto in sala, ponendomi il quesito: "ma vuoi vedere che ho incontrato me stesso del futuro o di un universo parallelo?". Appena finito il film ci siamo scambiati uno sguardo e un gesto di saluto accompagnato da un sorriso nascosto sotto le mascherine. Usciti da cinema ho visto, nel parcheggio, il mio omonimo più anziano entrare nella sua auto, un modello diverso dalla mia, ma incredibilmente dello stesso colore.
VOTO: 5 STELLE!
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