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Tutto quello che avrei voluto dire sui film 2021
Tick, Tick... Boom!, biopic diretto da Lin-Manuel Miranda sulla vita del compositore e drammaturgo Jonathan Larson, nonché adattamento cinematografico dell'omonimo musical dello stesso Larson è stato l'ultimo film che ho visto nel 2021. Una storia forte, una personalità esuberante, un film che inevitabilmente e per forza di cose mi ha emotivamente coinvolto, perché, sarà anche per la mia vicinanza anagrafica al Jonathan Larson del film e quindi alle implicazioni esistenziali di un ragazzo giunto alla soglia dei trent'anni, mi ha fatto riflettere (e non poco) sull'avanzare inesorabile del tempo, al quale come ha messo in scena Shyamalan in Old siamo tutti praticamente inermi, sull'oppressivo ticchettio delle lancette dell'orologio biologico e il paradosso del tempo perso e sprecato, sempre direttamente proporzionale al tempo a disposizione.
Tenet, però, non è un caso isolato perché il 2021 per me è stato l'anno delle recensioni non scritte. Un anno in cui l'inizio di una nuova attività lavorativa ha riorganizzato il mio tempo libero, per cui se nella prima metà dell'anno corrispondeva al cento per cento della mia giornata, nella seconda, drasticamente dimezzato assieme alle energie nervose mi ha spinto a rivedere gli impegni giornalieri e concentrare l'attenzione verso altre priorità.
Nel 2021 perciò non ho accumulato soltanto biglietti del cinema, ma anche pareri, opinioni e giudizi che ho deciso finalmente di esporre e condividere con voi, per liberarmi del loro peso e fare spazio per quelli che nasceranno nel nuovo anno.
In occasione degli Oscar decisi di arrivare alla nottata di premiazione preparato come non lo sono mai stato in vita mia. Una preparazione scrupolosa fatta di ricerca di informazioni e curiosità, confronto con altri appassionati di cinema e addetti ai lavori, studio, tanto studio, insomma neanche ai tempi dell'università ho mai preparato un esame con tale disciplina e metodo. Mi impegnati nel vedere (con ogni mezzo lecito e legale disponibile), se non proprio tutti i principali film candidati, almeno quelli in lizza per il premio del miglior film e proporre le loro recensioni. Risultato del mio personalissimo "Road to Oscar": undici film visti e quattro recensioni scritte. Cercate di capirmi, come potevo in poco tempo scrivere qualcosa di arguto e sensato, senza un minimo di ricerca e studio, su Mank, il film di David Fincher sulla genesi di Quarto Potere, ricco di potentissimi tecnicismi e riferimenti cinematografici di inizio ventesimo secolo? Infatti, non potevo. Al contrario, magari, avrei potuto elogiare l'interpretazione di Anthony Hopkins in The Father - Nulla è come sembra, dopo averlo visto nel film premio Oscar alla miglior sceneggiatura non originale ho subito pensato che ahimè non ci sarebbe stato nessun Oscar postumo per Chadwick Boseman. L'intensità interpretativa di Hopkins, l'umanità che riesce a trasmettere attraverso lo sguardo perso e allo stesso modo supplicante di aiuto dei suoi occhi chiari come ghiaccio mi ha pervaso, scavando nel profondo, rievocando ricordi che i miei nonni, affetti dalle stesse problematiche del suo personaggio, hanno disegnato indelebili sulle pareti della mia mente. Avrei potuto parlare di Judas and the Black Messiash e Il processo ai Chicago 7, due film candidati al premio Oscar per il miglior film che seppur con trame differenti e apparentemente parallele, presentano storie che si intersecano tra loro nel contesto ambientale di una turbolenta Chicago nel 1968. In questo caso attraverso l'immagine del leader delle Black Panthers, Bobby Seale, legato e imbavagliato durante il processo ai Chicago Seven. Avrei potuto, infine, manifestare tutta la mia delusione per l'adattamento cinematografico di Nomadland, soprattutto dopo aver letto il libro di inchiesta sui "senzacasa" ( i moderni nomadi americani) di Jessica Bruder. Pesante e ingiustificatamente triste e malinconico, al contrario della sua versione scritta (nonostante l'impostazione documentaristica e poco didascalica), il film di Zhao Chloé tende a creare nello spettatore un profondo senso di pietà e compassione, senza considerare un dettaglio non di poco conto, ovvero che per molti dei protagonisti del film, non tutti attori, quindi veri nomadi (alcuni gli stessi intervistati dalla scrittrice), tale condizione è conseguenza di una scelta di vita, volontaria, ponderata o inevitabile.
Una donna promettente di Emerald Fannell (vincitrice dell'Oscar alla migliore sceneggiatura originale per il suo primo lungometraggio scritto e diretto), invece, rientra in quella categoria di film che io definisco "dal giudizio impopolare". Quel film di cui tutti parlano, anche senza meriti e competenza per farlo, di cui tutti esaltano il minimo dettaglio, ricercato e analizzato alla lente di ingrandimento o trovano significati inesistenti e forzate. Insomma quel film che anche grazie alla potenza comunicativa dei social network è ormai sulla bocca di tutti, gode di notevole popolarità, ma che a me per una ragione o un'altra non piace. Nel corso del 2021 altri titoli si sono aggiunti alla lista: I care a lot nel mese di febbraio, Eternals (il secondo film di Zhao Chloé visto nel 2021) a novembre e Don't look up a dicembre, ma non chiedetemi di sceglierne uno perché non mi sono piaciuti tutti in ugual modo, a mio parere i classici esempi di film ai quali una visione nella vita può bastare.
Al contrario rientrano nella categoria dei film "dal giudizio popolare", ovvero non piaciuti a furor di popolo: Jungle Cruise, il primo film ispirato da una delle attrazioni del parco divertimenti a tema Disney, visto nel mese di agosto; Black Widow, visto a luglio, semplicemente un film Marvel uscito nel momento sbagliato (non solo dal punto di vista della timeline del MCU), dopo il grande clamore post Endgame e Space Jam: New Legends, visto a settembre, sequel di uno dei miei film d'infanzia preferiti. Un progetto cinematografico infantile, poco originale e molto autoreferenziale, ma soprattutto fuori luogo e contesto storico perché è difficile da inquadrare se considerato il pubblico target a cui si rivolge: i giovani spettatori sono ormai abituati a relazionarsi con nuovi personaggi e forme di intrattenimento e spettacolo, mentre l'effetto nostalgia su spettatori adulti è praticamente fallimentare, senza considerare la reazione degli appassionati di basket e lo squallido ammiccamento al citazionismo in stile Ready Player One.
Se parlare di ciò che non piace ed emettere giudizi negativi, affrettati o meno, contestualizzati o no, risulta sempre estremamente semplice, al contrario si dimostra essere complessa l'emissione e la formulazione di un giudizio o commento positivo, giusto, veritiero e oggettivo al netto delle emozioni e delle sensazioni provate perché l'argomentazione è attività seria che richiede spazio materiale sul foglio (di carta o virtuale), ma soprattutto tempo. Secondi, minuti, ore utilizzati per pensare, elaborare mentalmente ed esporre se non sfruttati ed ottimizzati si accumulano e diventano presto giorni, settimane, mesi. Così alla fine, nel mese di luglio, ho dedicato più tempo e concentrazione all'organizzazione delle ferie ormai prossime a discapito della recensione di A Quiet Place 2, uno dei pochi casi (se non unico) in cui il sequel è persino meglio del film precedente conservando tutta l'originalità del soggetto; a settembre, invece, ho perso tempo per metabolizzare e riprendermi dai giorni di vacanza appena conclusi e non so quali altre scuse inventarmi a ottobre e novembre per giustificarmi di non aver scritto nulla sui film che più ho apprezzato del 2021, ovvero The Suicide Squad, Freaks-out e Ultima notte a Soho. Chissà cosa avrei potuto scrivere su questi ultimi quattro film citati, di certo avrei manifestato di quanto ad impressionarmi siano stati quelli che io chiamo "espedienti da regista": idee, scelte, soluzioni adottate tanto nello studio e nella conseguente composizione delle inquadrature, nel posizionamento della camera per sfruttare luci, ombre, suggestive ambientazioni, quanto nell'impegno nel mantenere costante un determinato ritmo e tensione da parte di quattro giovani registi emergenti, visionari nelle loro peculiarità, rispettivamente: John Krasinski, James Gunn, Gabriele Mainetti ed Edgar Wright.
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