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Bones and all: non è sbagliato essere sbagliati
Si utilizza il termine "Cinema d'autore" per definire quei film che rispecchiano la personalità del loro regista, perché dire "al regista non interessa se il film viene compreso, coinvolge emotivamente o arriva in pancia allo spettatore, nonché egli non si assume nessuna responsabilità di quanto, come e cosa viene percepito, perché il consenso non è lo scopo di un modo di fare cinema che esula dal moderno contesto strategico finalizzato esclusivamente all'incasso" sembrava troppo lungo e complesso.
La suddetta definizione mi concede una tranquillità emotiva e morale tale da rendermi consapevole che Luca Guadagnino fortunatamente non sarà per nulla scalfito dalla mia recensione. Allora ci posso andare giù pesantemente, magari risultando persino impopolare nell'affermarlo, ma - parere personale - a me Bones and all non è piaciuto, ovvero non è piaciuto a pieno. La questione è semplice: non so bene cosa ho visto, di conseguenza non so dire se quel che ho visto mi è piaciuto, resta di fatto che il nuovo film di Luca Guadagnino non mi è arrivato - giusto per rimanere in tema - in pancia.
Tra le ottime premesse iniziali, da racconto di formazione adolescenziale e lo sconvolgente e romanticissimo finale, dal potentissimo coinvolgimento emotivo, ci passa in mezzo un intero film la cui trama è fortemente ispirata all'omonimo romanzo scritto da Camille DeAngelis nel 2015. Il film di Luca Guadagnino è una trasposizione cinematografica, ma leggendo la sinossi del romanzo ho potuto constatare alcune importanti differenze che cambiano funzionalmente il valore e il significato insito nel risultato finale.
Bones and all è un film horror sul cannibalismo? Un film drammatico o sentimentale sulla storia di due cannibali? Un road movie in cui il viaggio non è solo il raggiungimento di un luogo fisico, ma anche esperienza di crescita personale? Devo interpretare il cannibalismo dei protagonisti in senso letterale oppure è una metafora più ampia e profonda? Magari Bones and all nelle intenzioni così come nella realizzazione è un po' di tutto questo oppure è qualcosa che sfugge alle mie percezioni, di certo Guadagnino si focalizza principalmente sulla storia sentimentale tra Maren (Taylor Russell) e Lee (Timothée Chalamet), due giovani cannibali che a causa della loro natura stanno cercando di imparare a sopravvivere ai margini della società, ma sostanzialmente in modo molto piatto, con una trama priva di squilibri, ovvero rotture di equilibrio narrativo e un climax emotivo debolissimo. Maren cerca sua madre, Lee il suo posto nel mondo, entrambi fuggono dal proprio passato attraverso una nuova consapevolezza di se stessi, una propria definita identità, verso una nuova meta: tranquilla, stabile e felice; facendo i conti quotidianamente con il problema del cannibalismo, in questo modo e contesto interpretabile come metafora di una dipendenza, la stessa che logora fino all'osso chi non è capace di abbandonarla.
Se nella versione cinematografica Maren è una giovanissima ragazza che ancora non riesce a gestire i suoi istinti e in Lee trova un importante aiuto per concepire la sua natura, nella versione scritta da Camille DeAngelis, invece, è una giovane donna più consapevole di sé che assieme a sua madre è costretta a cambiare spesso luogo in cui vivere perché rischia di trasformare ogni villaggio di residenza in un succulento banchetto. La Maren di Camille DeAngelis preferisce divorare fino all'osso le persone a cui maggiormente si affeziona, in questo caso il cannibalismo si potrebbe interpretare come metafora di quel inesorabile oblìo in cui è intrappolato chi nonostante ogni massimo sforzo con il suo pensare, agire o parlare finisce sempre per ferire le persone più vicine. Apprendere - navigando su internet - che Camille DeAngelis è una vegana affermata e convinta, però, mi fa cambiare completamente punto di vista, perché scrivere un romanzo in cui la protagonista principale è una cannibale in erba non è semplice ironia della sorte, ma un modo per far riflettere il lettore sul consumo di carne. La metafora celata dietro al cannibalismo è una critica alla società moderna, al consumismo e all'educazione alimentare. Il messaggio è articolato e studiato, una forma di sensibilizzazione che spinge i consumatori carnivori, esorcizzando il loro subconscio, a considerarsi in quanto tali, predatori letali (di animali, per i lettori carnivori, di altri esseri umani per i cannibali descritti in prosa).
La versione di Luca Guadagnino, forse sfiora leggermente tali tematiche nel finale, l'approccio del regista siciliano è più di estetica, a dispetto del contenuto predilige la forma rischiando l'effetto emulativo con l'acclamato Chiamami col tuo nome. In Bones and all non so bene cosa ho visto, ma di certo ho percepito qualcosa esteticamente di alta qualità. In vari momenti ed aspetti Bones and all sembra fatto con lo stampino di Chiamami col tuo nome: la battuta finale o la scena da "stomaco forte" hanno una forma molto simile al titolo precedente, la presenza nel cast di Timothée Chalamet, invece, sposta l'attenzione sul fascino del outsider, ovvero quella strana attrazione verso quelli che non si sanno comportare, quelli sbagliati nei quali almeno una volta nella vita ognuno di noi si è identificato. La Maren di Luca Guadagnino attraverso un percorso di autoanalisi deve imparare a riconoscere la propria natura, smettere di combattere il demone del proprio mostro interiore, per potersi sentire se stessa perché in fondo non è sbagliato essere sbagliati.
In Bones and all non so bene cosa ho visto, di conseguenza non so dire se quel che ho visto mi è piaciuto, ma di certo ho percepito qualcosa esteticamente di alta qualità. Un film dalla soggettiva interpretazione e dalla peculiare forma che rispecchia la personalità del regista, del quale si potrebbe parlare all'infinito o archiviare ogni discussione definendolo semplicemente e convenzionalmente "Cinema d'autore".
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