Si scrive Blackkklansman, un simpatico gioco di parole che sta a indicare: "black clan's man", ovvero letteralmente "uomo o membro nero del clan". Si legge Blackkklansman semplicemente perché dire: il nuovo film di Spike Lee, l'adattamento cinematografico dell'omonimo libro autobiografico dell'ex poliziotto, il detective Ron Stallworth colui che decise negli anni settanta di infiltrasi nel Ku Klux Klan locale in Colorado pur essendo un uomo di colore, dirigendo e coordinando l'operazione con un suo alter ego bianco, il detective Flip Zimmerman paradossalmente ebreo, ma indispensabile per il contatto di persona con i membri razzisti del clan poiché capace di farsi spacciare per un membro della pura razza ariana, quindi dire è una storia fott*tamente vera presentata a maggio in concorso al festival di Cannes che ha ricevuto fin da subito applausi e recensioni positive nonché il premio Grand Prix Speciale della Giuria, il film osannato dai critici che lo elogiano come il miglior film del regista afroamericano per stile, montaggio, scrittura, tematiche affrontate e senso o valore di denuncia forse è troppo lungo o difficile da ricordare ed annunciare soprattutto alle biglietterie dei cinema.
Si scrive Blackkklansman e si legge Blackkklansman, ma tra le righe si legge anche di un percorso che Spike Lee già sul finire degli anni ottanta ha intrapreso con la realizzazione di titoli come Fa' la cosa giusta, Malcolm X o il più recente e già recensito Chi-Raq che dal punto di vista strettamente tecnico è di forte ispirazione nella realizzazione di Blackkklansman, un percorso tematico che aspettando progetti futuri per ora non conosce ancora fine, anzi si infittisce sempre più di vicoli secondari grazie alla partecipazione in veste di produttore in quest'ultimo lavoro di Jordan Peele, il regista del tanto acclamato Scappa - Get Out che con il regista afroamericano ha in comune il credo e la visione politica, la voglia di cambiamento e di sovversione verso il potere, la parità e la sensibilizzazione all'integrazione.
Il fil rouge della filmografia di Spike Lee si basa principalmente su tematiche quali l'integrazione razziale, le rivendicazione dei diritti per i neri americani, le particolari realtà delle comunità di afroamericani, i neri ghetti di Brooklyn mantenendo molto spesso un registro narrativo ironico ed intelligente, i titoli che ho citato in precedenza fungono da esempio, ma con Blackkklansman Spike Lee passa ad un livello successivo, si spinge oltre con il suo intento di denuncia e lo fa giocando con la storia, la satira, alterna documenti storici, filmati originali e Alec Baldwin, la guerra di secessione e le conseguenti radicali ideologie, il Ku Klux Klan, l'origine dell'odio, del razzismo e l'inutile violenza che ancora oggi si esercita. Blackkklansman dal punto di vista stilistico è molto simile al precedente Chi-Raq, film che non ha visto la luce nelle sale cinematografiche italiane perché prodotto dagli Amazon Studios per la propria piattaforma streaming, una denuncia alla facilità con la quale si entra in possesso di armi e lo spietato uso che alimenta criminalità e violenza fra bande a Chicago, un progetto che io ho apprezzato tantissimo e a quanto pare dai risultati vincenti tanto da rielaboralo sull'incredibile storia vera del detective Ron Stallworth. Un pugno e una carezza, l'alternanza di documenti storici e filmati reali con le immagini del film, i ripetuti cambi di tono e genere non mi hanno saputo coinvolgere emotivamente tanto quanto in Chi-Raq, non dico che l'effetto sia inefficace agli occhi dello spettatore, anzi nel finale ho avuto inevitabilmente i brividi a causa delle immagini a forte impatto, ma le dinamiche che ho potuto già osservare in titoli precedenti, in Blackkklansman le ho trovate ripetitive e quasi scontate, una forzatura nel cercare a tutti i costi la denuncia, la provocazione all'attuale presidente degli Stati Uniti è diventata ormai un luogo comune.
Progetti stilistici rielaborati a parte, il nuovo film di Spike Lee ha però dalla sua una sceneggiatura ben scritta in cui non mancano i colpi di scena, le risate grazie a determinate battute e gag che altrimenti non sarebbero state ammissibili o tollerate se appunto non scritte da un uomo di colore, i momenti di riflessione poiché per quanto sia assurda la storia viene in qualche modo sviluppato oggettivamente anche il punto di vista della controparte bianca, se considerati protagonisti Stallworth e i suoi amici, evidenziando nel finale quanto siano inutili le guerre e le violenze tra razze poiché non proclamano ne vinti, ne vincitori, ma solo morti. A volte il ritmo sembra rallentare con scene e sequenze forse troppo lunghe, ma ci pensano le musiche, ovvero la suggestiva e coinvolgente colonna sonora, il montaggio, in particolare la sequenza più toccante quella nella quale mentre avviene l'iniziazzione nel KKK del detective Flip Zimmerman viene ricordato il linciaggio di Jesse Washington nel 1916, la parte in cui il film si fa un thriller in stile The Departed, con gli agenti sotto copertura impegnati nel fare il doppio gioco fra i due schieramenti razziali, si fa molto più favorire rispetto alla parte drammatica, ma soprattuto le interpretazioni degli interpreti scelti, da Adam Driver (detective Flip Zimmerman) che incanta anche quando non deve fare niente di tanto particolare alla rivelazione assoluta nonché futura stella del cinema John David Washington (detective Ron Stallworth) figlio di quel Denzel Washington che con Spike Lee ha gia lavorato varie volte, passando per le interpretazioni della bellissima Laura Harrier, di Topher Grace e Jasper Paakkonen il diffidente e sovversivo Felix Kendrickson che con sua moglie rende la trama letteralmente a prova di bomba.
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