Dopo due anni di attesa, finalmente, il secondo capitolo di It di Andrés Muschietti è al cinema. Nel frattempo a Derry, narrativamente parlando, sono passati ben ventisette anni e le storie sulla città non si sono rivelate errate: Pennywise è tornato per sfamarsi e seminare terrore. Il club dei perdenti rispettando il giuramento di sangue fatto in passato è costretto a far ritorno a Derry, per affrontare nuovamente e definitivamente It. A richiamare i suoi vecchi amici "perdenti", tutti andati a vivere fuori città, ci pensa Mike Hanlon, l'unico rimasto e quindi cresciuto in quei luoghi stregati e quasi dimenticati, dove tutto è rimasto imbalsamato e impolverato nella memoria dei protagonisti.
Sono passati ventisette anni, quelli che erano i sette piccoli protagonisti che decisero di reagire al regno di terrore creato da It nell'estate del 1988, sono diventati adulti. Eppure riconoscerli per lo spettatore è estremamente facile complice, in primo luogo, un fenomenale lavoro svolto in sede di casting, nella scelta accurata nel ruolo dei protagonisti adulti di attori esteticamente simili alle loro versioni da bambino, complice l'ottima prova interpretativa eseguita, tra tutti, da James McAvoy e Jessica Chastain, coloro che molto probabilmente per motivi di contratto e compenso devono stare più tempo in scena e sempre al centro dell'inquadratura, infine per il lavoro fatto in sede di scrittura, quindi caratterizzazione dei personaggi, poiché ognuno di loro conserva la stessa personalità che aveva da bambino. Sono passati ventisette anni, ma a Derry tutto è rimasto uguale al 1988: il ponte in legno, la cava, la scuola elementare, la biblioteca, la sala giochi se pur abbandonata esistono ancora così come la casa di Neibolt Street dove l'entità malvagia si nasconde. Per poter scorgere l'avanzare del tempo bisogna tener conto dei dettagli, ovvero in città c'è un ristorante cinese, davvero poco probabile che fosse presente già negli anni ottanta per via della cultura della ristorazione e dell'alimentazione americana, la differenza di abbigliamento, accessori annessi, tra i protagonisti nella versione adulta e bambina o gli oggetti, corpi ed elementi estranei al contesto, che loro stessi introducono a Derry come i cellulari di ultima generazione o le auto moderne. Ma più di ogni altro elemento a far comprendere quanto la trama sia ambientata ai giorni d'oggi ci pensa il prologo, a mio parere tanto squallido quanto ruffiano. Alla fiera della città due ragazzi vengono prima insultati e poi pestati semplicemente perché sono una coppia omosessuale. Uno dei due viene buttato giù da un ponte da questa gang di bulli omofobi, il fidanzato corre in suo soccorso, ma non può far nulla perché quando lo raggiunge lo ritrova tra le braccia di un mostruoso clown che lo uccide davanti ai suoi occhi. Venuto a conoscenza dell'episodio Mike Hanlon, l'unico rimasto a Derry del club dei perdenti, si mobilità per chiamare e riunire i suoi vecchi amici. Il prologo seppur in maniera approssimata introduce un tema mai realmente trattato nella precedente trasposizione cinematografica del romanzo di formazione di Stephen King, ovvero il tema dell'omosessualità. Se l'oggetto del bullismo negli anni '80 o '90 poteva essere il diverso inteso nell'aspetto fisico quanto nel colore della pelle, in It - capitolo due il motivo di divertimento dei bulli è l'omosessualità di una coppia di comparse, così come quella presunta di Richard "Richie" Tozier, un segreto personale che causa le paure del ragazzo e che danno adito a Pennywise di ricattarlo. Trattare il tema dell'omofobia e l'inutile violenza sulla povera coppia omosessuale in maniera così approssimata e nell'arco di pochi minuti di prologo, a mio parere, risulta una becera paraculata, uno sfruttare la cresta dell'onda della produzione cinematografica americana a favore di consensi e sponsor, una mossa che genera solo una inutile caccia alle streghe. It, così come è stato concepito dal maestro Stephen King, ha il potere di leggere la mente e manipolare la realtà soggettiva degli esseri viventi, per apparire in qualunque forma spaventi le sue vittime fino ad ucciderne la loro mente. Ragione principale per cui predilige i bambini che dovrebbero essere maggiormente influenzabili. Perciò, come anche il prologo della miniserie televisiva del 1990 suggerisce, esistevano svariati ed alternativi modi, contesti, temi ed espedienti per poter iniziare al meglio la trama di questo lunghissimo sequel.
Sono passati ventisette anni e Bill, Beverly, Ben, Richie, Mike, Eddie e Stan conservano volontariamente (ovvero per scelta autoriale) lo stesso carattere e la stessa personalità di quando erano bambini, anzi queste sono più accentuate soprattutto quando ricevono la chiamata per tornare a Derry. La loro città nativa sembra essere quasi stregata e più loro si sono allontanati, più hanno dimenticato il passato. Ma le loro paure sono rimaste le stesse e conservando anche da adulti la stessa caratterizzazione, gli stessi incubi e le stesse difficoltà che vivevano da bambini dimostrano quanto queste siano una trappola dalla quale nessuno può realmente fuggire, un infernale circolo vizioso. Affrontare le proprie paure è un passaggio importante per la propria crescita personale, sconfiggerle segna il passo decisivo per diventare adulti, maturi e responsabili. Le paure dei protagonisti hanno le sembianze di Pennywise, ma sconfiggerlo materialmente comporterà anche capire come superare le paure più profonde che la vita puntuale come un conto da pagare presenta prima o poi ad ognuno di noi: la paura di crescere, di diventare grandi, di diventare persone peggiori, diventare ad esempio come i propri genitori se questi non sono la figura che stimiamo, la paura di dimenticare le vere amicizie, di non conoscere mai il vero amore, la persona giusta che meritiamo di amara e dalla quale meritiamo di essere amati, di non sentirsi accettati o ricambiati i sentimenti che proviamo verso qualcuno, la paura di non poter essere se stessi ed esprimere il proprio modo di vivere ed esistere.
Il romanzo di Stephen King è principalmente un racconto di formazione, perciò bisogna considerare questo per poter scegliere la chiave di lettura con la quale iniziare la visione del film e trarre una propria interpretazione. Se dovessi considerare il film di Andrés Muschietti un racconto di formazione avrei qualche perplessità poiché anche se non approfondito in qualche maniera e soprattutto con varie ridondanze nei dialoghi il tema è trattato, basti pensare la commovente e riflessiva lettera finale di Stan, ma comunque in tal senso preferirei nettamente il primo capitolo ambientato negli anni '80, perché con i film di formazione adolescenziale di quegli anni, come ad esempio The Goonies o Stand by me, condivide importanti valori e suggestive atmosfere. Se dovessi invece considerare It - capitolo due un horror, beh allora direi che al netto dell'ottimo lavoro fatto in sede di montaggio che regala dinamicità ai cambi di scena, non ci siamo proprio. L'intero film gioca sulla suggestione del pubblico nell'attesa del clown, la stessa struttura narrativa utilizzata da Tommy Lee Wallace nel 1990, ma la miniserie televisiva è sorretta da un grande Tim Curry nel ruolo di Pennywise, nel secondo capitolo di It gli espedienti usati da Muschietti nell' invano intento di far saltare lo spettatore sulla poltrona non funzionano perché sono troppo scontati e prevedibili, gli amanti del genere si sono abituati troppo bene negli ultimi anni e le dinamiche del film sono troppo surreali per poter percepire in esse paura o tensione. Anzi, al contrario, strappano un sorriso così come le battute sparse nel copione spaventosamente funzionanti, forse un po' troppo numerose e spesso fuori contesto, il personaggio di Richie interpretato dal comico Bill Hader, il triangolo amoroso tra Bill, Ben e Beverly più noioso e allo stesso tempo più divertente di una puntata di Uomini e Donne e persino l'interpretazione di Bill Skarsgard, paradossalmente talmente bravo nel ruolo di Pennywise, da creare un empatia tale da strappare di riflesso un sorriso sul volto dello spettatore.
Insomma facendo fede alla mia personale esperienza e del pubblico intorno a me in sala, un pubblico accorso numeroso al primo giorno di programmazione, un'affluenza garantita e ripagante l'astuta mossa di non sviluppare, come in precedenza, un'unica produzione strutturata da flashback, ma bensì due film ambientati a ventisette anni di distanza così da avere più libertà creativa, purtroppo sprecata e grazie alle attività e iniziative di marketing incassi e statistiche sorridenti, direi che
It - capitolo due è il film più divertente dell'anno perché non sempre il film più atteso, più visto o acclamato è il più bello e se produttori o investitori avevano la paura di non ricevere in tasca il ritorno economico di quanto investito in vista dell'uscita del film, possono stare tranquilli perché il loro
It è e sarà facilmente sconfitto.
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