The Negro Motorist Green Book o semplicemente Green Book era una guida di viaggio per automobilisti di colore, aggiornata annualmente dal 1936 al 1966 (anni in cui erano vigenti le leggi di Jim Crow, ovvero quando negli Stati Uniti meridionali era diffusa legalmente la discriminazione nei confronti della gente di colore) dal postino di New York City, di origine afroamericana, Victor Hugo Green. Nonostante la povertà e l'estenuante discriminazione che limitavano il possesso di auto a persone di colore, l'emergente classe media afroamericana di inizio anni '30 poté permettersi l'acquisto di automobili riscontrando però numerose difficoltà, pericoli ed ostacoli lungo gli itinerari più noti e le strade principali d'America come il semplice rifiuto di vendere cibo, di offrire alloggio in camere d'albergo, di concedere rifornimenti, carburante o riparazioni ai veicoli in riserva o danneggiati, fino ai casi più estremi nei quali i viaggiatori di colore potevano subire persino violenze fisiche, arresti immotivati o espulsioni forzate dalle cosiddette "città del tramonto" (comuni o quartieri di soli residenti bianchi). Gli americani di colore hanno iniziato a guidare anche per evitare la segregazione sui mezzi pubblici, cercare una propria indipendenza e inseguire una qualche forma di libertà. Alcuni americani di colore, specialmente figure di spicco come famosi atleti, sportivi, artisti o intrattenitori erano costretti a viaggiare per lavoro e nonostante il loro particolare status riscontravano in molti paesi le stesse difficoltà di viaggio. Il dottore Don Shirley, non un medico, ma un grandissimo pianista e compositore jazz, nato in Florida all'anagrafe con il nome di Donald Walbridge Shirley nel 1927, consapevole dei rischi che avrebbe riscontrato durante una lunga tournée di otto settimane nel profondo sud degli Stati Uniti negli anni '60, decise così di ingaggiare ufficialmente nel ruolo di autista personale un buttafuori che lavorava al Copacabana, un locale che proprio in quel periodo sarebbe rimasto chiuso per due mesi, l'italoamericano Tony Vallelonga, detto Tony Lip per le sue capacità oratorie e di cavarsela in tutte le situazioni soprattutto le più critiche e minacciose, ma soprattutto decise di affidarsi alle indicazioni e alle informazioni suggerite sul Green Book, la guida "green" come il colore della sua copertina, il cognome del suo autore e il titolo che presta all'ultima fatica cinematografica di Peter Farrelly, per l'occasione orfano della collaborazione lavorativa del fratello Bobby, con protagonisti assoluti il premio Oscar 2017 Mahershala Ali nei panni eleganti e sofisticati di Don Shirley e Viggo Mortensen in quelli più grotteschi di Tony Lip. Uno dei film più belli che ho potuto vedere negli ultimi mesi, un road movie tanto divertente quanto emozionante, non privo, però, di discutibili difetti. Dal 31 Gennaio al cinema, da guardare anche in vista della prossima ed imminente notte degli Oscar, considerando le cinque candidature, tra le quali spicca quella per il miglior film, nonché i tre Golden Globe già esposti in bacheca.
Il nome Farrelly è sinonimo di garanzia in tema di commedia, basta ricordare il geniale e riflessivo Amore a prima svista, l'assurdo Scemo & più scemo o Tutti pazzi per Mary, film che ha fatto scuola per la moderna commedia americana. Green Book raccoglie il meglio dei precedenti titoli della filmografia del regista statunitense o meglio dei fratelli Farrelly avventurandosi in strade nuove ed inesplorate, ovvero combina la commedia che per tematiche affrontate a lunghi tratti sa essere tanto black quanto politicamente scorretta, con i tratti carateristici del genere biografico, perché Green Book è ispirato ad una storia realmente accaduta, sfumature sentimentalistiche, drammatiche e soprattutto musicali. Green Book potrebbe essere la consacrazione che tutti cercano in carriera, questo vale per Peter Farrelly o per i due attori protagonisti di una pellicola che fa divertire, riflettere ed emozionare. Il lavoro di preparazione ed interpretativo di Mahershala Ali e Viggo Mortensen è eccezionale, tenendo ben presente l'idea che il film si basa su fatti realmente accaduti ed a personaggi realmente esistiti, nonché l'oggettiva considerazione che entrambi non sono propriamente ricordati o associabili nell'immaginario dello spettatore ad un ruolo comico, ovvero in un film di genere comico, eppure l'alchimia che tra i due si crea è pazzesca, le risate sono garantite e la loro caratterizzazione è perfetta. Tony Lip appare razzista agli occhi dello spettatore in una delle scene iniziali poiché butta nel cestino della spazzatura i bicchieri usati da due idraulici di colore appena usciti da casa sua, ma il lavoro mimico ed espressivo di Mortensen e l'angolazione dell'inquadratura sul suo volto suggeriscono quanto Tony in realtà non sia tanto razzista nella sua indole o educazione, giustificando il suo gesto mostrando come egli sia solo il riflesso dell'ambiente in cui vive e ha sempre vissuto perché rientrando in casa scopre che in salotto ci sono tutti i componenti maschili della sua famiglia intenti a vedere dello sport in TV, ma soprattutto per non lasciare la moglie da sola con i due estranei, insomma una visione del mondo antica, ma allo stesso tempo, purtroppo ancora in alcune realtà e località di estrema attualità. Dettagli narrativi importanti per la storia, in alcuni tratti però incomprensibili ed in altri forzati all'interno di una sceneggiatura scritta tra gli altri da Nick Vallelonga, figlio del vero Tony Vallelonga, che a mio modesto parere si conclude lasciando l'amaro in bocca, con colpi di scena prevedibili e non funzionanti dal punto di vista del coinvolgimento emotivo e tradendo tutte le buone premesse delineate o tematiche trattate in precedenza, trasformando l'intero episodio, decontestualizzato da un racconto molto più articolato e complesso quale un viaggio in auto contro la segregazione ed intolleranza razziale, in un film natalizio per famiglie nel quale non ho ben compreso dove vuole andare a parare, nonché grazie alla battuta finale, far uscire dalla sala il pubblico con un fragoroso sorriso.
Green Book è un film piacevole e molto musicale, ma se da un lato fa dell'ironia il suo punto di forza, dall'altro crea perplessità la scelta del titolo, a mio parere un escamotage strategico alquanto furbo. Il titolo del film è il nome di un oggetto che come esposto in precedenza fungeva da guida per i viaggiatori di colore, fornendo preziose informazioni nel tentativo di non farli incorrere in imbarazzi, difficoltà o pericoli. Intitolare il film Green Book in qualche modo concentra l'attenzione su un tema quale il razzismo o l'intolleranza in una suggestiva realtà e ambientazione cinematografica degli anni '60, ma che a tutti gli effetti nel lungometraggio di Farrelly in realtà mi sembra un tema trattato solo implicitamente, ovvero è un contesto narrativo costruito intorno ad un road movie che vede protagonista una strana e bizzarra amicizia tra due personaggi caratterialmente opposti. Intitolare il film Green Book in qualche modo rende l'oggetto protagonista del film, inteso come guida per automobilisti di colore, ma nella realtà concreta di quanto ho potuto vedere il libro dalla copertina di colore verde è mostrato o menzionato solo in un paio di occasioni. Focalizzare l'attenzione sul Green Book vuol dire anche sviluppare le sue origini, le motivazioni e i retroscena che hanno spinto il postino di New York City, Victor Hugo Green, a scrivere la citata guida, quindi il film si sarebbe potuto intitolare in mille altri modi perché il film in fin dei conti parla di amicizia, di un viaggio inteso non solo fisico tra i ricchi teatri nei quali Don Shirley deve esibirsi, ma anche un viaggio culturale perché il confronto e la vicinanza tra i due personaggi così diversi e così tanto simili, finirà per arricchire entrambi perché il film parla anche di mancanze da colmare per chi possiede molto materialmente eppure non riesce ad essere felice e chi, al contrario, sa essere felice possedendo materialmente poco.
Ma chi è il vero protagonista di Green Book? Il titolo come già spiegato contribuisce alla percezione di un determinato tema trattato e Green Book si ritrova tra i candidati in lizza per il miglior film ai Premi Oscar 2019 seguendo il filone di BlacKKKlansman e il tanto discusso Black Panther. Ma come la stessa Academy suggerisce tra i candidati al premio per il miglior attore protagonista c'è il nome di Viggo Mortensen, così ogni dubbio svanisce e la convinzione si rafforza, Tony Lip è l'eroe della storia che più di tutti mediante il suo viaggio matura e si arricchisce culturalmente, parte da un punto con una certa ideologia e ritorna nello stesso cambiato fornendo allo spettatore un'intelligente dimostrazione e importanti spunti di riflessione.
A proposito del lavoro interpretativo di Viggo Mortensen, se proprio devo sottolineare qualche difetto del film, ci terrei ad evidenziare quanto il doppiaggio italiano, almeno personalmente, influisca negativamente sulla visione complessiva, soprattutto nella solita marcata stereotipatazione di dotare determinati personaggi, determinate caratterizzazioni, con accenti e cadenze linguistiche proprie di popolazioni originarie del sud Italia. Non solo, perché per quanto sia apprezzabile il lavoro svolto dall'attore accentuando la mimica e la gestualità tipica nei modi di espressione del popolo italiano essendo il protagonista di tali origini e considerando anche le origini e la stime verso le stesse di uno dei sceneggiatori (Nick Vallelonga, figlio di Tony), pur trascendendo nell'autoironia, la solita e scontata associazione del nostro paese alla pizza, al mandolino e alla mafia (ci sono diversi riferimenti, anche espliciti, all'interno della sceneggiatura) diventa antipatica e quasi irritante. Se davvero in qualche modo il film tratta il tema dell'intolleranza e della segregazione razziale, allora perserverare nella rappresentazione cinematografica di un personaggio di origine italiana con i soliti luoghi comuni è una forma di razzismo, ma dopotutto non mi sento offeso perché a fare giustizia ci pensa lo stesso Tony Vallelonga dando un pugno in faccia al sistema, quando una autorità lo insulta dicendoli che se ha origini italiane allora egli è un mezzo negro.
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