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Dune - parte due: la fantascienza che ci piace!

Se mai un giorno Denis Villeneuve dovesse aprire un canale YouTube (oppure un profilo tematico su un qualsiasi social network) con l'intento di fare una sapiente divulgazione Sci-fi cinematografica, lo potrebbe intitolare "La fantascienza che ci piace", perché proprio come ha fatto con la fisica il famoso professore influencer, Vincenzo Schettini, rendendola (attraverso una superba attività di comunicazione) un po' alla portata di tutti, anche il regista e sceneggiatore canadese, quasi condividendo con il prof pugliese tale grande capacità comunicativa - in questo caso visiva - ha reso la fantascienza cinematografica a portata persino dei profani del genere.  La fantascienza di Villeneuve è tangibile, perché non è astratta nella forma, ma profonda e concreta nei contenuti. Dune - Parte due è il manifesto della sua peculiarità. Un sequel credibile (come dimostrato con Blade Runner 2049 ) sotto diversi punti di vista: la trama è fedele ai romanzi di Frank Herbert (a

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[Spoiler] Avengers - Endgame: passato, presente e futuro del Marvel Cinematic Universe e dei suoi principali protagonisti

Analisi, spiegazione e interpretazione di Avengers Endgame ultimo film del Marvel Cinematic Universe. Presente, passato e futuro del MCU e dei suoi principali protagonisti.

C'era una volta il dottor Bruce Banner, uno scienziato che coinvolto in un incidente, durante un esperimento con un ordigno atomico, subisce una trasformazione genetica. Se sottoposto a forte stress o rabbia si trasforma in Hulk, un essere enorme e dalla forza ingestibile di mille uomini. C'era una volta la rappresentazione di tutto ciò che di più intimo e profondo si nasconde nell'essere umano, una rappresentazione di colore verde, pronta ad esplodere con tutta la sua violenza, senza nessun controllo e cogliendo impreparati tanto le persone intorno quanto lo stesso Bruce Banner.
C'era una volta un film diretto da Louis Leterrier, snobbato e sottovalutato, criticato e quasi disconosciuto, ma di insospettabile importanza poiché secondo capitolo della cosiddetta prima fase del Marvel Cinematic Universe, quindi primo passo, grazie alla scena post credit, verso il crossover più grande e duraturo della storia del cinema.

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C'era una volta Edward Norton che in quel L'incredibile Hulk di Leterrier nel 2008 interpretava il dottor Bruce Banner e contribuendo alla scrittura della sceneggiatura aveva personalizzato la caratterizzazione del suo personaggio in un modo del tutto divergente dalle direttive generali. C'era, appunto, perché poi c'è stato improvvisamente Mark Ruffalo e un tono completamente opposto. C'era una volta un film di Hulk di casa di produzione Marvel Studios e di distribuzione Universal, ma non c'è mai stato un film di Hulk distribuito da Disney, nonostante questa abbia acquisito nel 2009 l'azienda nata per la produzione di prodotti d'intrattenimento, Marvel Entertainment. C'era una volta la versione cinematografica "Ultimate" di Hulk, nella quale è lo stesso Banner a sottoporsi di proposito all'esperimento con i raggi gamma. C'è stata la versione "Planet Hulk" vista nel film Thor Ragnarok e c'è la versione "Professor Hulk" in Avengers: Endgame, ovvero il mix tra l'intelligenza di Bruce Banner e la forza di Hulk in una incarnazione permanente. Mossa astuta per poter continuare ad utilizzare il personaggio in progetti futuri anche senza l'interpretazione di Mark Ruffalo, ormai con il contratto scaduto, perché la nuova versione del vendicatore di colore verde è interamente ricostruita a computer. C'era una volta un personaggio schivo e in cerca di isolamento perché preoccupato di trasformarsi in un mostro e quindi in un pericolo per gli altri e c'è, oggi, un simpaticone peluche verde che scatta selfie ed esegue mosse di Dab dance, meno forza e più intelligenza per il personaggio più maltrattato e snaturalizzato dell'intero MCU.

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C'era una volta il figlio di Odino, erede al trono di Asgard, il "Dio del tuono", una divinità, uno tra gli essere più potenti dell'universo Marvel. C'era una volta Asgard, sicura e prosperosa dimora degli asgardiani, un regno sospeso tra il mistico e il mitologico accessibile attraverso un portale, ovvero il Bifrost; c'era Heimdall, il guardiano del Bifrost e ci sono state particolari e suggestive dinamiche familiari. C'era una volta Odino, Loki il "Dio dell'inganno" ed Hela la "Dea della morte". C'è stato un Ragnarok ed un incontro ravvicinato con il potente Thanos durante il viaggio, di salvataggio del popolo asgardiano, verso il pianeta Terra.

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C'era una volta Chris Hemsworth, un australiano appassionato di surf, secondo di tre fratelli, tutti attori non ancora noti al grande pubblico, ma conosciuti per aver girato una soap opera in Australia. C'era una volta un attore che per dimostrare di non essere il solito bello che non balla si è cimentato in ruoli e in film di generi diversi, già notato da J.J. Ambrams che lo ingaggiò in Star Trek nel 2009, Chris Hemsworth si è cimentato nel corso della sua carriera in ruoli drammatici come ad esempio nel biopic Rush, Heart of the sea entrambi di Ron Howard, Blackhat o nell'horror Quella casa nel bosco, ma soprattutto in ruoli comici, non per questo privi di difficoltà da interpretarli, ma utili per comprendere la metamorfosi del carattere e dei toni associati al suo personaggio. Un percorso coerente alle direttive Disney, soprattutto per chi ha molto apprezzato il pazzo Thor Ragnarok di Taika Waititi, il mutamento del "Dio del Tuono" è un processo parallelo alla parabola artistica di Hemsworth. C'era una volta Mjolnir, l'iconico martello, uno degli artefatti più potenti di Asgard e c'era un ragazzotto dai lunghi capelli biondi, occhi chiari e fisico muscoloso da culturista che personificava Thor alla perfezione perché fisicamente e caratterialmente rispettava l'immaginario comune. Purtroppo c'era perché oggi, preferenze personali a parte, c'è Thor in versione Barney Gumble dei I Simpson, birre e rutti annessi, una conseguenza per il rimorso e il senso di colpa per non esser riuscito a salvare il mondo, ma chissà quanto ancora lo vedremo così fuori forma poiché Endgame suggerisce il suo ingresso nella squadra dei Guardiani della Galassia.

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C'era una volta Steve Rogers, un docile e magrolino ragazzo di Brooklyn che nonostante difetti fisici, voleva arruolarsi nell'esercito per aiutare gli Stati Uniti. Un ragazzo dai forti ideali, leale e altruista che viene trasformato durante la seconda guerra mondiale in Captain America, un super soldato, un'icona, il primo vendicatore della storia. C'era una volta l'HYDRA, una divisione scientifica segreta finanziata da Hitler, il Tesseract, un antico e potente manufatto e Bucky Barnes, prima miglior amico di Steve Rogers, poi braccio destro fidato di Captain America ed infine, dato per morto durante la seconda guerra mondiale, successivamente fatto risorgere (fisicamente ed editorialmente) come il "Soldato d'inverno", un agente segreto, un assassino sottoposto al lavaggio del cervello.
C'era una volta un personaggio molto riflessivo, giusto ed ottimista che credeva fortemente nei valori del suo paese e rappresentava la bandiera a stelle e strisce, una risorsa preziosa perché unico super soldato in circolazione, da proteggere e per questo motivo promosso come simbolo patriotico nazionale. C'era una volta un uomo che sapeva come muoversi negli anni '40 poiché in grado di riconoscere il bene dal male, le dinamiche e le motivazioni giuste o sbagliate che spingono ad agire gli uomini. C'era una volta Howard Stark e uno scudo circolare fatto di vibranio, praticamente indistruttibile, Nick Fury e lo S.H.I.E.L.D. che ritrovano Captain America nell'artico ibernato da circa settant'anni. Ci sono stati tre film d'azione con sottotesto politico, Captain America è nato come elemento di propaganda e prima si è opposto a nazisti e comunisti, poi catapultato in una nuova realtà contemporanea, a nemici invisibili: reti di complotti, spie, infiltrati e traditori. In Civil War si oppone ad accordi ed istituzioni governative e difende anche con la forza l'ideale secondo cui gli Avengers devono essere liberi di decidere quando intervenire di propria iniziativa e volontà. Etica, professionalità e moralità estrema come la conseguenza di creare due schieramenti, di scontrarsi a malincuore con le idee di Tony Stark (figlio di quel Stark che fabbricava armi durante la seconda guerra mondiale).

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C'era una volta Natasha Romanoff, ovvero la "Vedova nera" e Samuel Wilson, ovvero Falcon, personaggi che hanno perso tutto e con Captain America hanno trovato qualcosa che molto si avvicina al concetto di famiglia. C'è sempre stato Chris Evans ad interpretare Cap, ma come il finale di Endgame suggerisce non ci sarà più, nonostante il peso del suo personaggio continuerà ad esserci. Steve Rogers torna indietro nel tempo e decide di vivere una vita normale con la sua amata Peggy, uno sliding doors che si conclude con un anziano e pensionato Captain America, seduto su di una panchina, che cede il suo amato scudo e con sè le sue responsabilità a Falcon e Bucky Barnes (presto impegnati in una serie tv originale sulla piattaforma streamig Disney plus), un passaggio di consegne ed un emozionante saluto finale. C'era una volta Chris Evans che in Avengers Infinity War portava orgoglioso la barba, un nuovo look, un nuovo costume e che in Endgames si rade e ritorna ad indossare vecchi panni perché Cap viaggiando nel tempo si ritrova faccia a faccia con se stesso del passato (quindi per motivi di spettacolarizzazione cinematografica). C'era una volta un eroe caparbio, che non mollava mai, dalla forte volontà d'animo, sempre pronto a ispirare gli altri e rimboccarsi le maniche. Un eroe che più di tutti è crollato dal peso della sconfitta, le sconvolgenti conseguenze del gesto di Thanos hanno fatto vacillare in lui la fede e le certezze in cui credeva. Non si sa bene cosa combini nei cinque anni successivi allo schiocco di dita, ma proprio quando sta per arrendersi e decidere di andare avanti con la propria vita un'inaspettata visita di Ant-man al quartier generale degli Avengers gli riaccende la miccia della speranza, nell'ardore del fuoco nel suo sguardo si rivede e riconosce quel supereroe che era e che per sempre resterà.

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C'era una volta un playboy, miliardario e filantropo di nome Tony Stark, ma che possiamo anche chiamare Robert Downey Jr. perché mai nella storia del cinema distinguere la persona, ovvero l'attore reale, dal personaggio è stato così difficile. C'era una volta una parabola di cambiamento esistenziale, una storia di rinascita e di seconde possibilità. Robert Downey Jr. è Tony Stark e il proprietario delle Stark industries è Iron Man. Proprio come il personaggio che ha interpretato, l'attore americano è passato negli ultimi anni da essere scapolo d'oro a marito fedele e anche padre, ma non è tutto poiché dal carcere è passato ai red carpet di tutto il mondo, dal rehab e dalla dipendenza all'eroina a quella della moda che lo consacra uno tra i più cool di Hollywood. C'era una volta un modello di riferimento per chi nella vita è caduto e dalla polvere vuole rialzarsi o per chi non crede che dopo aver compiuto quarant'anni la vita non possa proporre ancora nuove opportunità di riscatto. C'era una volta un regista di nome Jon Favreau che volendo ingaggiare a tutti i costi Robert Downey Jr. per il ruolo da protagonista in Iron Man, lasciandoli persino libertà creativa nella caratterizzazione di cinquanta sfumature di egocentrismo e narcisismo, ha permesso la realizzazione di questa bellissima favola.

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C'era una volta un geniale inventore, rapito dai terroristi, fatto prigioniero e costretto a realizzare un'arma di distruzione di massa. Ferito durante il rapimento dall'esplosione di una bomba, si ritrova con diverse schegge conficcate nel petto e pericolosamente troppo vicine al cuore. Suo compagno di prigionia è un fisico di nome Yinsen, il quale, per sua fortuna, riesce a salvarlo impiantandoli nel petto un elettromagnete, inizialmente alimentato con le batterie per auto. C'era una volta Mark I la prima armatura costruita da Tony Stark, proprio durante il periodo di prigionia, utile per poter fuggire e tornare in America, anche grazie al sacrificio di Yinsen e l'intervento di War Machine. C'è stato Mark II e Mark III, armature capitate nelle mani sbagliate e quindi nemici sempre più forti e pericolosi da affrontare, tradimenti, cospirazioni e un nuovo generatore elettrico per l'elettromagnete posto sul petto, ovvero un piccolo reattore Arc alimentato dal palladio. Ci sono stati eserciti di armature di ogni tipo e tecnologia, upgrade, perfezionamenti e regali ad altri valorosi eroi perché Iron Man nell'universo cinematografico Marvel c'è sempre stato.

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Iron Man è l'inizio e la fine, il rischio d'impresa per un progetto cinematografico senza precedenti, le gioie e i dolori, i sorrisi e le lacrime, un cerchio che si chiude, un'avventura lunga undici anni che volge al termine. C'era una volta l'emblema dei supereroi moderni, un punto di riferimento, un mentore per alcuni. Iron Man era il personaggio che più di tutti rappresentava e condivideva all'interno del MCU i valori Marvel. Lo abbiamo visto perdere e rialzarsi tante volte, isolarsi e fare gioco di squadra, imporre le proprie idee e mettersi al servizio degli altri, fidarsi di chi ha visto tra milioni di scenari un futuro in cui sono i buoni a vincere. Lo abbiamo conosciuto spavaldo, arrogante e lo abbiamo apprezzato addirittura in una inedita versione dolce, premurosa e paterna. Non aveva nulla da perdere ed ha perso tutto, riflessivo e giudizioso, ha sempre preso le scelte più giuste e ponderate, ha metabolizzato il lutto e cercato di andare avanti ritirandosi a vita privata, ma non sarebbe stato giusto e quindi studia e trova la soluzione, prepara il piano nei minimi dettagli e alla fine lascia che siano gli eventi a prendere il sopravvento compiendo un gesto chissà quanto impulsivo, magari persino egoistico, ma di certo efficace.
Parlare di Iron Man vuol dire ricordare e quindi onorare la sua figura, per sconfiggere il nemico più forte di tutti bisognava compiere il gesto più estremo di tutti. Il funerale nel finale di Endgame è la metafora della fine di questa splendida avventura, ovvero per ora, la fine della terza fase del Marvel Cinematic Universe.

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C'era una volta Thanos, il nemico Marvel per antonomasia perché ineluttabile (contro cui non si può lottare). Un personaggio ben caratterizzato e sfaccettato che grazie alle sembianze di un truccato Josh Brolin esprimeva umanità. Non il solito cattivo stereotipato, ma che con determinazione e prepotenza attua il suo piano: raccoglie le sei gemme dell'infinito sul guanto e schiocca le dita per dimezzare l'intera popolazione mondiale. Una motivazione neanche tanto malvagia se consideriamo la sua idea di creare un nuovo equilibrio, un nuovo ordine e prosperità per chi sopravvive perché le risorse a loro disposizione saranno maggiori. Non esiste chi merita o meno di sopravvivere, la sovrappopolazione è una minaccia per l'ecosistema. 
C'era un volta un villain ineluttabile e la sensazione di inevitabile ed irrimediabile fallimento per i nostri amati eroi. La sensazione di sgomento nel finale di Avengers Infinity War e di sorpresa nel prologo di Avengers Endgame nel vederlo così inerme, indifeso ed infine decapitato.
C'era una volta Thanos, misterioso e indecifrabile nei cameo disseminati in varie scene post credit, protagonista assoluto in Infinity War e misera comparsa in Endgame. C'era una volta Gamora e Nebula sorellastre figlie adottive di Thanos, in astio tra loro perché la prima era la preferita dal padre e la seconda considerata solo uno strumento ed ogni volta che perdeva uno scontro con Gamora, le veniva strappato un pezzo del corpo e sostituito con pezzi robotici, fino ad diventare la sua "equivalente". C'era una volta Gamora, poi sacrificata dal padre in cambio della gemma dell'anima e c'è anche in Endgame, risputata dal passato, ma non si sa se ci sarà ancora in futuro. C'era una volta Nebula e ce ne sono due in Endgame, alleata fedele di Thanos e rediviva nello spazio, sperduta, al fianco di Tony Stark. C'era una volta Thanos capace di sconfiggere tutti gli Avengers in epici scontri come l'agguato agli asgardiani, lo scontro contro Star-Lord & co. su Knowhere, sul pianeta Titano o la mastodontica battaglia di Wakanda... Yibambe! Yibambe! Yibambe! C'è Thanos che patisce secondo lo scenario previsto dal Doctor Strange.

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C'erano una volta gli Avengers, gli "Original six" ed oggi ci sono Spider-man, Black Panther, Doctor Strange, i Guardiani della galassia e Ant-man il personaggio più insospettabile e allo stesso tempo il più determinante, intrappolato nel regno quantico per cinque anni grazie all'intervento di un topolino (anche se ormai la Marvel appartiene alla Disney, il topolino in questione non è Mickey Mouse, ma proprio un brutto e grigio ratto) viene risputato fuori e con sé custodita la soluzione per riportare in vita la metà della popolazione mancante, ovvero viaggiare nel tempo.
C'erano una volta supereroi impulsivi che agivano senza pensare, film d'azione con effetti speciali, carichi di adrenalina e ci sono cinecomic più introspettivi, film che sfiorano il drammatico e supereroi più realistici, incapaci di elaborare il lutto, arrendevoli, meno super e molto più umani.
C'erano una volta gli Avengers per come abbiamo imparato a conoscerli, ma alcuni indizi potrebbero suggerire in futuro la creazione di una squadra di vendicatori tutta al femminile. Occhio di falco ha trascorso gli ultimi anni addestrando sua figlia maggiore che potrebbe eventualmente prendere il suo posto, Thor affida la guida della nuova Asgard a Valchiria prima di partire nello spazio, Tony Stark ha una figlia che a cinque anni si dimostra abbastanza sveglia e intelligente, le Dora Milaje al servizio di Black Panther sono molto agguerrite, Gamora e Nebula sono tornate dal passato più unite che mai, ma soprattutto c'è l'eroina Marvel numero uno. Carol Danvers è una combattente, soldato, eroe, pilota, guerriera, icona, figura che incarna tante donne e ne incarna solo una. Captain Marvel che magari ha un film dedicato poco entusiasmante, di certo ha illuso tutti della sua attesa e avvenuta, così forte che quasi sembra non intervenire.

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C'era una volta uno spettatore, non ancora maggiorenne, che adorava leggere i fumetti e guardava incantato i primi cinecomic perché amava immedesimarsi nei suoi personaggi preferiti, condivideva i loro valori, l'idea di fare sempre la cosa giusta, tutelare i più deboli e salvare il mondo.
C'era una volta uno spettatore che non credeva fiducioso in un progetto cinematografico di tale importanza, ma che già alla conclusione della prima fase, ovvero al termine di quel film The Avengers datato 2012 era già incontrollabilmente entusiasta. C'è oggi uno spettatore più maturo perché cresciuto insieme ai suoi supereoi cinematografici preferiti, più esperto, più giudizioso e soprattuto più esigente. C'è oggi uno spettatore che ancora sconvolto dal finale di Avengers Infinity War ha atteso 365 giorni per scoprire come tutto si conclude, ha visto al cinema Captain Marvel e ha rinfrescato le idee riguardandosi quasi tutti i ventuno film che compongono come pezzi di un mosaico antico il cosidetto Marvel Cinematic Universe, al quale andrà aggiunto un ulteriore pezzo dal titolo Spider-man: Far From Home e chissà se poi sommando tutti i minuti di durata di questi film, calcolatrice alla mano, ricaveremo come risultato 3000.
C'era una volta Stan Lee, colui che più di tutti ha permesso la realizzazione di tutto questo, c'è Stan Lee anche in Endgame perché lui c'è sempre stato, ma tranne l'immancabile e sfuggente cameo non c'è poi quanto ci si sarebbe aspettato di trovare per emozionarsi ancora un'ultima volta e renderli omaggio perché non è la fine dei giochi per i film sui supereroi Marvel, ma per il loro papà si.
C'è oggi al cinema uno spettatore che a causa di tutte queste ragioni, ma anche dell'estrema e aggressiva campagna pubblicitaria, ha riposto in Avengers Endgame aspettative troppo elevate non del tutto soddisfatte. C'è uno spettatore che non comprende bene la ricostruzione narrativa del prologo, le motivazioni dei personaggi e l'incongruenza temporale della storia. Viaggiare nel tempo è la miglior soluzione per recuperare le gemme dell'infinito prima dell'avvenuta di Thanos, ma se per recuperare tre gemme nello stesso luogo e periodo decidono di viaggiare indietro nel tempo fino alla New York del 2012, ovvero poco prima dell'invasione dei Chitauri, facendo coincidere il tempo narrativo con la data di uscita del film, allora far passare cinque anni dallo schiocco di dita di Thanos è una grave incongruenza temporale se non si specifica, ad esempio, che Endgames è ambientato nel futuro, precisamente nel 2024. Anche se credo sia solo un espediente per poter dar tempo a Tony Stark di metter su famiglia, avere una bambina dell'età adeguata per poter essere considerata sveglia e intelligente, nonchè creare e alimentare tra il pubblico empatia per il personaggio che poco dopo dovrà essere definitivamengte salutato.
C'era una volta uno spettatore non ancora maggiorenne che adorava leggere i fumetti e guardava i cinecomic incantato, fiducioso, incredulo e c'è oggi uno spettatore più maturo, esigente e anche un pizzico deluso. Ma soprattutto c'è un uomo e come lui milioni di persone che nonostante tutto può sentirsi emozionato, onorato e grato di aver preso parte ad un progetto cinematografico senza precedenti, dalle dimensioni importanti, lungo undici anni e ventidue film, uno spettatore che può dire: "io c'ero" nel lontano 2008, "ci sono" e se questa non sarà la fine "ci sarò", perché anch'io sono Iron Man e proprio come lui in questo universo cinematografico Marvel ci sono sempre stato.

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